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Immagine del redattoreAldostefano Marino

Caro Michele, Natalia Ginzburg

Se pensando a Natalia Ginzburg il primo titolo che ci viene in mente è probabilmente Lessico famigliare, sarebbe ingiusto non annoverare almeno al secondo posto il suo celebre Caro Michele, romanzo epistolare pubblicato all'inizio degli anni Settanta, divenuto poi un film, diretto da Mario Monicelli e con la partecipazione dell'attrice Mariangela Melato.


Caro Michele è prima di tutto un romanzo epistolare. Eppure, di questa prima classificazione si fa presto a metterne in discussione i limiti.


In primis poiché le epistole sono inframmezzate dalle descrizioni di un narratore esterno, nel tentativo di allacciare tra loro, in maniera più oggettiva o neutrale, le personali narrazioni dei singoli mittenti e destinatari. Caro Michele non si tratta infatti di un normale carteggio scambiato tra due corrispondenti, quanto di una corrispondenza piuttosto popolosa che, in uno scambio di lettere che si perpetua per la durata di un anno, trova tra i mittenti una sequela di personaggi che orbitano attorno alla figura di Michele: forse, il protagonista del romanzo.


Forse, perché Caro Michele è sicuramente un romanzo corale, dove tutti i personaggi che scrivono a Michele assumono una posizione di rilievo.


Michele è sì il principale destinatario delle lettere raccolte nel romanzo, ma tutti i suoi mittenti e le loro storie si intersecano con prepotenza nell'intreccio. Ognuno di essi è vincolato a lui da un legame profondo: prima fra loro c'è Adriana, una madre che non comprende suo figlio, e dunque che non lo approva, ma che ha invero smesso di tentare di capirlo: lettere che per quanto tentino di rimediare alla lontananza del loro rapporto, si rivelano in realtà scritte per rimediare a un proprio senso di colpa.


Poi c'è Angelica, una tra le sorelle di Michele, che sicuramente prova un grande affetto per il fratello, ma si dimostra sempre troppo impensierita per i suoi affari, per i problemi con il marito. C'è Mara, una giovane donna che ritorna dal passato, che si rivolge ad Adriana in cerca di supporto, facendo leva sulla possibilità che il bambino che le è appena nato possa essere il figlio di Michele.


Dalle storie e soprattutto i tormenti di questi personaggi, attorno a cui comunque si annoverano le vicissitudini di molteplici altri, Natalia Ginzburg racconta in Caro Michele l'epopea lunga un anno di una famiglia divisa.


Una famiglia scissa da nessun reale motivo.

Come per forza di un'esplosione che li ha scagliati e dispersi nel vuoto abissale, i personaggi di Caro Michele hanno perso qualsiasi capacità di parlarsi tra loro, confrontarsi sinceramente, riconoscersi. E come se essi fossero estranei, sconosciuti, divisi definitivamente gli uni dalle altre.


Ogni lettera inviata a Michele – ormai lontano, sempre in procinto di compiere chissà quale nuovo viaggio in chissà quale altro posto per chissà quale motivo – più che uno scambio tra chi la manda e chi la riceve, rappresenta uno spazio per parlare di sé, per crogiolarsi nei dispiaceri, unicamente votati all'appagamento del proprio egoismo.


È vero, ognuno dei mittenti che scrive a Michele, tende sempre a cominciare le lettere rivolgendosi a lui, ma poi, lentamente, mentre il romanzo procede e la corrispondenza si accumula, anche Michele perde quasi d'importanza e per il lettore diventa indispensabile non tanto capire a chi è indirizzata la lettera (non sempre a Michele, talvolta sono le stesse Mara, Angelica e Adriana a scambiarsele tra loro), ma piuttosto da chi è stata scritta. Poiché ogni lettera o capitolo di questo romanzo è il luogo in cui si proietta la singolarità del personaggio che scrive, e dove ogni mittente compie un'analisi di se stesso, della vita in cui a fatica sopravvive, e poche volte invece si affanna a comprendere la persona a cui è spedita. Come se l'autore, di volta in volta, si trovasse davanti alla pagina di un diario, e non invece a un dispaccio indirizzato a qualcuno.


Le vicende del romanzo si realizzano nel clima del Dopoguerra: un momento storico contraddistinto dalla difficoltà di individuare nuovi ideali, inedite posizioni, che siano realmente in grado di risollevare la scontentezza generale portata dai sconvolgimenti della Seconda guerra.


Michele è un giovane ribelle sempre in fuga, un'adolescente che si avvicina alla politica di estrema sinistra e che, un po' per questa ragione di avversione al potere, un po' perché è in cerca del proprio posto in un mondo in cui si sente straniero, abbandona l'Italia e parte per Londra. Lì, poco ne sa il lettore di come sopravvive Michele, dei nuovi amori che lo travolgono, del lavoro che fa per vivere. Ma non solo il lettore ne è all'oscuro: queste informazioni sono precluse anche agli stessi mittenti che indirizzano le loro lettere a Michele.


Michele è come se abitasse in un limbo, in una dimensione del tutto circoscritta dove le informazioni difficilmente raggiungono l'esterno, e pure nelle stesse lettere scritte da lui direttamente, egli si mantiene sempre vago circa il modo in cui tira avanti.


Tutti si scrivono semplicemente per avanzare richieste, per accertarsi che le loro disposizioni siano osservate con scrupolo secondo i dettami impartiti, oppure, banalmente, per parlare di sé e dei propri tormenti. Attraverso uno sguardo generale sull'intero carteggio, poche domande sono davvero mirate a voler comprendere l'altro, e quelle rare cure rivolte verso la persona a cui sono indirizzate le lettere altro non sono che un tentativo di imporre la propria idea di come Michele dovrebbe vivere, di ciò che dovrebbe fare: l'ennesimo tentativo, insomma, di parlar di sé anche quando si parla d'altri. Le stesse lettere spedite da Michele ai suoi familiari appaiono come richieste economiche, favori indispensabili, consigli su come amministrare l'eredità piombata su di Michele – di cui egli è invero del tutto disinteressato – che l'iniziale scomparsa del padre comporta.


L'unico che forse prova ancora qualcosa di sincero nei confronti di Michele è il suo amico – o forse qualcosa di più, come tutti e tutte sospettano – Osvaldo. Osvaldo diviso tra una vita che avrebbe voluto vivere, e una a cui si è sottratto solo dopo averla percorsa. Separato dalla sua abbiente moglie Ada, i loro rapporti non si sono mai conclusi. Anche le ragioni per cui il loro legame si è interrotto sono vane e mai dichiarate apertamente al lettore: essi fanno semplicemente ricorso a una frase precostituita, quasi un motto, secondo cui narrano di essersi resi conto di amarsi profondamente ma di essere troppo diversi e dunque di non poter continuare a vivere insieme. Il loro rapporto, di conseguenza, come quello di Michele e tutti i mittenti delle lettere, si esplicita e si esaurisce nelle distanze. Distanze che non sono solo quelle immediatamente fisiche, ma soprattutto interiori.


In Caro Michele, Natalia Ginzburg si serve di una struttura di certo inedita, quella dell'epistolare misto, per rappresentare con maggiore intensità le proprie volontà.


Le storie dei singoli personaggi contribuiscono a incuriosire il lettore, a condurlo fino alla sua conclusione, ma il vero nucleo del romanzo è sicuramente il tema dell'incomunicabilità e dell'egoismo umano. Perciò Ginzburg si serve abilmente di più storie che si intrecciano, che confondono le idee al lettore finché non convergono tutte nello stesso punto, che comunque non ne garantisce un'inequivocabile chiave di lettura.


Il lettore, si trova perciò condotto attraverso il lento egoistico progredire delle vicende private dei mittenti della storia, ai quali è negata ogni forma di felicità: ma infine, ciò che ne emerge è l'incapacità diffusa di un nuovo individuo di quegli anni Sessanta e Settanta, estraneo al passato ed estraneo al futuro, che percepisce la necessità di un cambiamento ma non fa che ripetere macchinalmente le medesime azioni. Un individuo senza scampo, a cui la felicità è impedita, che in un'ipocrita inconsapevolezza fa di tutto per raggiungere il lato materiale di questa felicità, attraverso i precetti e i dettami di un nuovo mondo capitalistico.


A questa promessa di felicità non mantenuta, tuttavia c'è uno scampo per i personaggi che abitano Caro Michele, uno e uno soltanto, ovvero il potere della memoria. Consolazione presto fornita agli sparpagliati personaggi nella stessa forma narratologica di cui Natalia Ginzburg si serve per scrivere il romanzo.

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