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Immagine del redattoreAldostefano Marino

Figlio di due madri, Massimo Bontempelli

Questo racconto strano comincia tra raggi di sole e allegrezze, un giorno di primavera, nella capitale del mondo. Bontempelli M., Il figlio di due madri, Utopia, Milano 2021 (p. 7)

Esordisce così, Massimo Bontempelli iniziatore e capostipite del realismo magico letterario – in un romanzo di ampio respiro che pone le proprie radici nella mitologia e nel culto dell'antico, e che deposita la propria ombra sulla insoddisfacente quotidianità.


È questo il cardine su cui si fonda un'eccentrica ed estrosa produzione artistica, quella del realismo magico: la negazione della realtà, la necessità dell'essere umano di potersi sottrarre a essa, per volgere lo sguardo e i pensieri verso altre realtà. Realtà in cui il fantastico si mescola a ciò che comunemente definiamo vero; realtà fatta di superstizioni che si oppongono alle coincidenze, affermando invero la possibilità dei messaggi e dei segnali di un destino già scritto. Un destino che non può comprendersi del tutto con la ragione, e che solo grazie all'immaginazione si lascia afferrare ed esplorare.


Pubblicato per la prima volta nel 1929, Il figlio di due madri di Massimo Bontempelli è stato riproposto in libreria dalla giovane casa editrice milanese Utopia.


Il figlio di due madri racconta la strana vicenda che vede coinvolta la famiglia dei Parigi, una famiglia alta-borghese che da un anno ha lasciato Milano per raggiungere la ridente capitale d'Italia, Roma.

Mariano, il pater familias, personaggio «oscuro nella storia», ma che «nella vita ha qualche importanza, se è importante guadagnare ogni anno buone somme di danaro trattando affari cospicui, e con esse provvedere ampiamente alla vita di sé e dei suoi»: sin da subito presentato in relazione al proprio ruolo, che difficilmente riuscirà ad abbandonare per le successive pagine e finanche al concludersi della storia. Arianna, detta signora Anna, «giovane ancora e piacente», anche lei totalmente votata al ruolo che Bontempelli le dà: madre attenta, dedita a contentare il figlio e a trascorrere con lui tutto il tempo che è concesso loro da quando è nato.


All'esordio del Figlio di due madri, tra Mariano e Arianna, seduti l'uno di fronte all'altra a una tavola candida, troneggia il loro figliolo, il festeggiato, colui che d'improvviso, da quel quadretto di raggi di sole e allegrezze d'esordio, si desta come da una malattia e non ricorda più nulla del suo presente. Il passato, invece, gli affiora nitido come qualcosa di cui egli ha fatto esperienza: «verso l'una pomeridiana del giorno 7 di maggio dell'anno 1900», il settenne Mario afferma di chiamarsi Ramiro e di voler tornare immediatamente a casa sua. Ma questa storia, non può che dirsi vera solo per lui, mentre sua madre è convinta che sia preda di qualche malanno, e subito chiama il dottore affinché possa occuparsi della sua salute.


Solo sua madre, Arianna, cede ai capricci di Mario, e secondandolo decide di condurlo fin dove egli chiede di andare, in via del Muro nuovo, al numero 18, nel quartiere di Trastevere.


Montano in carrozza. Arianna lascia che sia Mario a guidare il cocchiere, e infine arrivano in un'abitazione dove ad attenderli vi è un'anziana governante, lasciata lì a vivere, intimata di non far entrare nessuno, fino al ritorno annuale della proprietaria, Luciana Veracina.


Riconosciuto il proprio cavallo a dondolo, un ritratto di Mario (Ramiro) posato sopra un tavolinetto, Arianna per poco non impazzisce. Piange, si dispera, sviene, non riesce a credere che suo figlio non la riconosca più come madre, ma ancora non può far altro che contentarlo, fare come se non ci fosse niente di strano. È infatti convinta che quell'immagine non sia che una coincidenza, proprio come sostiene la governante che nel descrivere il ritratto, riconosce il figlio defunto sette anni prima della signora Luciana. Subito alla governante è richiesto di telegrafare alla proprietaria, incoraggiarla a fare ritorno a Roma, affinché il fraintendimento possa essere risolto con velocità.


Ma quando Luciana Veracina rientra a Roma, alla risoluzione non si arriva con celerità – e forse non ci sarà mai spazio nella narrativa di Bontempelli per una risoluzione che possa considerarsi conclusiva. A Luciana non importa che il suo bambino sia identico a come l'ha lasciato, persino nell'età, neanche qui c'è logica. L'unica cosa di cui va in cerca Luciana, più che il senso delle cose, è quell'affetto che per sette anni ha tanto atteso, e che finalmente può stringere di nuovo tra le sue braccia.


Arianna vorrebbe allora convincere Luciana che Mario non è il suo Ramiro, condurre Mario a una presa di coscienza rispetto a quanto di inspiegabile sta accadendo loro. E mentre tutti si danno da fare per comprendere l'incomprensibile, Mariano Parigi è l'unico che tenta di risolvere la faccenda per vie legali.


Mariano si affanna, mentre Luciana, Arianna e Mario-Ramiro trascorrono il tempo insieme. Due figure in antitesi quelle delle madri: da una parte Arianna, sempre più cupa, sempre più smarrita si rattrista per non riuscire a far rinsavire il figlio e liberarsi di questa madre-ladra; dall'altra, Luciana, sempre paziente, che ormai ha già perso tutto, e ora, che finalmente ha ritrovato l'unica cosa di cui le importa, non ha più paura di perderla.


Ancora: da una parte il mondo reale, portato in scena dalla famiglia Parigi, più razionale, che si affanna in ogni modo per portare in salvo il proprio bambino; dall'altra il mondo del mito, del fantastico, quello in cui Luciana è la divinità suprema, dove ella si affida alle stelle, al fato, al respiro di Circe sul Circeo, dove si ritira, per tutto l'anno, in attesa di rientrare a Roma nel giorno dell'anniversario di morte di suo figlio Ramiro, il sette maggio di ogni anno.


Il figlio di due madri può esser letto come un romanzo che racconta la maternità, certamente, o come un romanzo che nient'altro vuole che condurre il lettore lontano dal realismo in cui per anni si è impelagata la letteratura.


Tuttavia, in entrambi i casi, non si può evitare di riconoscere in alcune sue pagine una critica onnipresente a tutto l'intreccio: quella della teoria della trasmigrazione dell'anima, tanto diffusa agli esordi del Novecento, e che Bontempelli cita non appena la notizia della risurrezione di Ramiro si diffonde in tutta Italia e poi in tutto il mondo con il nome di «Caso Parigi».


C'è chi scomoda teorie alieniste, teosofistiche, chi quelle teologiche e spiritiste, «ognuno dalle colonne del quotidiano declamava la sua lezione, faceva un inchino, e lasciava il posto al seguente». Insomma, laddove Mariano Parigi non arriva con i suoi avvocati e la razionalità, giunge la voce dell'irrealtà, l'unico elemento che può spiegare le cose fino in fondo.

Il mondo immaginario deve versarsi in perpetuo a fecondare e arricchire il mondo reale. Lo scopo è realizzare un mondo reale esterno all’uomo, imparando quindi a dominarlo, fino a poterne sconvolgere a piacere le leggi. Il dominio dell’uomo sulla natura è rappresentato oggi dalla magia. Bontempelli M., L’avventura novecentista, Vallecchi, Firenze 1938

È così che Il figlio di due madri fa presto a trasformarsi da un racconto fantastico (o magico-realista) in un racconto che si fa carico di esplorare la natura, di analizzarla sotto molteplici punti di vista, fino a estrarre dai suoi disordinati meandri, una verità mai assoluta.











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