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Immagine del redattoreAldostefano Marino

Giacomino, Antonio Debenedetti

Antonio Debenedetti ha saputo imporsi, seguendo le orme del padre, nello studio delle opere e delle vite degli altri. Non sono le scritture degli altri, però, perché Antonio Debenedetti è stato ed è uno scrittore prolisso – uno dei pochi a essersi aggiudicato per ben due volte il Premio Strega.


Nel 1991, con Se la vita non è vita si posizionerà per la prima volta in vetta alla cinquina del famigerato premio; dieci anni esatti dopo, ancora, con Un giovedì dopo le cinque, lo vincerà. Tuttavia, non di una grandissima fortuna editoriale dovettero godere i due testi citati, perché entrambi, attualmente, risultano fuori produzione, e talvolta anche di notizie scarsamente reperibili sul web.


Il suo libro di cui intendo raccontarvi è quello dedicato al padre, Giacomino. Pubblicato per la prima volta da Rizzoli nel 1994, riproposto da Marsilio nel 2002, è ora disponibile all'interno del catalogo Bompiani. Con Giacomino, Debenedetti ritorna a parlare del padre, ma non solo, perché il romanzo – se così lo si può definire – ha il potere di fornirci una panoramica della società letteraria e culturale di allora.


Se Anna Folli, con il suo La casa dalle finestre sempre accese (Neri Pozza, 2020) ha tentato di riportare luce e attenzione sulla figura di uno dei più grandi critici del Novecento italiano, l'opera di Antonio Debenedetti si avvale di una bibliografia per così dire più reale; o quanto meno più diretta... Si potrebbe rimanere perplessi davanti allo studio compiuto sul padre dal proprio figlio, ma Giacomino si consegna ai lettori non tanto come un elogio nei confronti del critico, ma come un'analisi sincera, precisa, di cui Giacomo Debenedetti è il protagonista, ma non l'unico. Intanto, menzionami d'onore merita la moglie di Debenedetti, Renata Orengo, donna dal carattere fermo e dalle idee precise.


Se da un lato vi è un'accentuata ostilità alle chiacchiere di Giacomo, e una riservatezza che in qualche modo ne è la cifra stilistica; dall'altro, Renata arriva dove il marito si ferma. O meglio: ci prova. Perché i figli, per esempio non sono in grado di riconoscere in lei le autorità che ella richiede per sé. Antonio e Elisa, invece, pendono dalle labbra di una delle cameriere che li seguirà per tutta la loro vita; e prima di tutti e tutte, da loro nonna.


La loro è una famiglia tipica di quegli anni: Giacomo è ebreo, mentre Renata no, e questo fattore porterà Giacomo a colpevolizzarsi a lungo per la sorte che egli sente, in qualche modo, di aver deciso per i propri figli. Colpevolezze del tutto inutili, perché l'intera famiglia riuscirà a salvarsi dalla Guerra.


L'incontro tra Giacomo e Renata avviene al Terzo Regio, durante una replica di Wagner.


Renata è lì, ha quattordici anni, e siede tra le prime file del loggione; accanto a lei, sua madre, la nonna Valentina, – amata dai suoi nipoti prima di qualsiasi altra persona – e Ninì, la sorella minore di Renata.

A quel tempo Renata studia musica, ed è in quel modo, forse, che apprenderà tutto il contegno e l'autocontrollo di cui saprà dar prova in seguito. Accanto a lei si trova anche la sua insegnante di pianoforte: è lei a suggerirle durante lo spettacolo di seguire sullo spartito la musica; ma Renata non fa altro che perdere il segno, ora presa da un vestito di scena, ora da qualcos'altro di più meritevole attenzione.

Era un vero guaio dal momento che, stentando a ritrovare il punto e la nota giusti, arrossiva confusa. Si indispettiva. Dell'imbarazzo della sua bionda vicina si accorse ben presto Giacomino, che il destino quella sera aveva voluto portare là. Senza por tempo in mezzo, con l'ardire e insieme con la galanteria di cui sapeva essere capace, intervenne a trarre Renata dall'impaccio. Debenedetti A., Giacomino, Bompiani, Milano 2019 (p. 21)

Alla fine, Giacomo e Renata si sposarono, e da quel momento «la nonna Valentina fece tutto ciò che era in suo potere perché quell'unione superasse la prova di frequenti e a volte gravi tempeste». Se Renata Orengo si mostra sempre tesa a controllare l'espressione delle proprie emozioni, nonna Valentina non nega mai di sentirsi legata al genero da stima profonda, e fa di tutto affinché lui se ne accorga.

Lo adula, lo vezzeggia, lo vizia come farebbe una nonna. Tanto che appunto, di riflesso, suo figlio e sua figlia sapranno rivolgerle quasi più bene di quanto ne indirizzinino ai propri genitori.


Dalle finestre della casa in cui nascono Antonio ed Elisa è si può mirare la basilica di Superga.


Nascono così i lunghi convegni presso la casa dalle finestre sempre accese. Poiché in Corso San Maurizio, numerosi sono i volti – ma sarebbe meglio dire le penne – dei poeti, degli artisti, degli scrittori e delle scrittrici più raffinate. E la casa del critico e di sua moglie si trasforma per tutti e tutte un punto di ritrovo, in un porto sicuro, dove si può discutere d'arte fino a notte inoltrata, accompagnati dal vino e dalle storie di chi vi arriva. Ma non solo di storie si discute.

C'era una volta, dunque, una casa dalle finestre sempre accese fino a tardi. La loro luce festosa era come un faro agli occhi dei passanti frettolosi che, nelle sere di nebbia e di freddo, percorrevano quel tratto del lungo Po prossimo a piazza Vittorio. A dispetto del fascismo, nonostante le sue restrizioni e le sue censure, quella era una stagione culturalmente intensa, ricchissima, quale mai si sarebbe potuto sperare nella vecchia Torino ancora ben protetta dal guscio sabaudo. Debenedetti A., Giacomino, Bompiani, Milano 2019 (p. 56)

È così che il romanzo Giacomino fa presto a divenire un racconto corale, nel momento in cui Antonio Debenedetti si accinge a raccontare tutte quelle personalità e i personaggi che entrarono in contatto con la coppia. In particolare, tra tutti i nomi ricorrenti, celeberrima fu l'amicizia tra Debenedetti e lo scrittore Umberto Saba, alla quale seguì presto quella con Elsa Morante. Di tutte le amicizie e le frequentazioni che si succedono e incontrano tra le pagine del volume, significativa appare la relazione con Sergio Amidei, assieme a cui Antonio scrisse almeno una ventina di sceneggiature. Proprio per mano di Amidei, quando la famiglia Debenedetti sarà costretta ad abbandonare Roma per approdare a Cortina D'Ampezzo in fuga dal fascismo, la biblioteca e i libri di Giacomo verranno salvati dall'oblio – o peggio, dalla distruzione.

Per una coincidenza, inoltre, i Debenedetti si recano proprio nella clinica dove, il celebre scrittore e amico Alberto Moravia trascorse molti anni della propria adolescenza per curarsi dalla tubercolosi ossea.


A Cortina i Debenedetti stringeranno rapporti con un'altra coppia, Corrado e Marcella Pavolini, con cui condivideranno l'appartamento finché il pericolo di essere scoperti non diventerà che un miraggio lontano. Seguiteranno giorni duri, gli uni uguali agli altri, contaminati dal dolore e dalla paura che si ripropongono con insistenza; ma a tal proposito, Antonio dichiara:

È stupefacente a questo proposito come Renata e Giacomo, vissuti sempre in mezzo ai libri e nei salotti, siano riusciti a trovare dall'oggi al domani, la concretezza, il coraggio e l'equilibrio necessari a fronteggiare un periodo come quello che ci attendeva. Debenedetti A., Giacomino, Bompiani, Milano 2019 (p. 69)

Finita l'agonia e scampato il pericolo, Giacomo e Renata, coi loro figli al seguito, fanno ritorno a Roma.

Sono gli anni d'oro del cinema italiano, Roma trionfa come tempio della cinematografia, e Renata e Giacomo Debenedetti decidono di andare a vivere sull'Aventino. La casa dalle finestre sempre accese cambia sede, ma le abitudini rimangono le medesime: anche in via Sant'Anselmo le visite di artisti provenienti dall'intera Italia si alternano a quelle di amici e persone care ai coniugi d'arte. E mentre Antonio Debenedetti mette tutto se stesso dentro un nuovo progetto, dedicando tutte le proprie ultime forze alla nascita di una casa editrice rivoluzionaria, Il saggiatore, Renata non manca occasione di accogliere gli ospiti, è presente a ogni festa, a ogni evento che le dà l'antica possibilità di riempirsi gli occhi di arte e di libri.


Roma diviene il luogo e l'occasione per stringere contatti, raggiungere nuove penne, incontrare altri intellettuali, altri pensieri e idee. Come avviene tra il critico Giacomo Debenedetti e il prodigio della letteratura, Elsa Morante. Morante stravede deliberatamente per il critico, è affascinata dalla sua preparazione e dall'estensione della sua cultura; Debenedetti ammira la tenacia della scrittrice, il suo genio, e non perde occasione per esprimere giudizi favorevoli rivolti alle sue opere.

Elsa Morante conosceva Giacomino già nel 1936, quando papà, la mamma ed Elisa (io non c'ero ancora) abitavano in una pensione affacciata sulla via Pinciana. Poi, nel 1937 o all'inizio del 1938, Elsa e papà presero a incontrarsi con una certa frequenza. Uscivano a cena insieme con Giorgio Vigolo, condividendone l'amore persino fanatico per la musica e lasciandosi sedurre dal suo modo di spiegare Belli e di raccontare Roma. Debenedetti A., Giacomino, Bompiani, Milano 2019 (p. 81)

Bisogna rendere merito al caro erede Debenedetti, che ha saputo restituire onore e omaggio a un'intera società letteraria.


Perché se l'intento originario del figlio è quello di tracciare un ritratto della vita di un uomo di cui spesso si è scritto errato persino il cognome, il risultato è il quadro di un'intera società letteraria. Saba, Montale, Soldati, Moravia, Caproni, Pirandello, Gadda, Maugham, De Chirico, molti e molte altre. Tantissimi sono i nomi e le vite dei personaggi passati dai Debenedetti, e per ognuno di loro, Antonio ha un ricordo nitido da affidare al lettore. Che sia una lieta novella che gli era stata raccontata da bambino; o ancora, un giochino inventato da Amidei; oppure la gelosia di Saba, il sex-appeal di Federico Fellini, una cena con Pablo Neruda, e i progetti di ristrutturazione di Corrado Cagli; ad Antonio Debenedetti va riconosciuto di aver scritto un libro veramente! indispensabile alla memoria.


Debenedetti non è stato solamente un illustre critico letterario a cui molti autori devono il successo; Debenedetti è stato un redattore, meticoloso traduttore e studioso (primo tra tutti di Proust); sceneggiatore e uomo d'intuito; uno scrittore fine e un editore per la cultura. E soprattutto: è stato, e rappresenta ancora oggi, quella voce grazie a cui possiamo dire di essere riusciti almeno ad avvicinarci alla comprensione di ciò che i più grandi del Novecento nascondevano nelle loro storie.


Un libro che, per citare Sandra Petrignani, «non è solo il ritratto privato dell'uomo, ma il racconto irripetibile della nostra cultura». E se ciò che vi ho raccontato in questo articolo non è stato sufficiente per incuriosirvi come avrei voluto, vi rimando all'altro mio articolo su Debenedetti, dedicato al libro che Anna Folli ha scritto su questi due personaggi significativi, ancora poco discussi, protagonisti in penombra e fomentatori di uno sfavillante Novecento italiano.

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