Gli indifferenti è il primo romanzo di Alberto Moravia, un’opera cruda e spietata ma in grado di far luce tra le inquietudini e i patemi dell’uomo moderno. Una storia permeata dalla tristezza, dalla desolazione e dal dolore, che tra le trame del racconto scomoda temi e racconta di realtà non tanto distanti quanto appaiono a prima vista.
Cominciato quando ancora si trovava a Bressanone, nella casa di cura Von Guggenberg, Moravia compose l’opera in due momenti differenti. È lui stesso a raccontare l’aneddoto ad Alain Elkann, in una lunghissima intervista pubblicata da Bompiani nel ’90, Vita di Moravia.
Nel settembre del 1925 ho lasciato Cortina e sono andato a Bressanone. Una mattina, a letto ho iniziato Gli indifferenti […] Incastravo il calamaio tra le lenzuola. Scrivevo con la penna tenendo il pennino rovesciato, così che mi succedeva di bucare la carta. Insomma il letto, dopo il senatorio, era diventato per me come il guscio per la lumaca. Vita di Moravia, Alain Elkan e Alberto Moravia, Bompiani
Quando cominciò a scrivere, Moravia era stato ricoverato poiché malato di una rarissima forma di tubercolosi ossea – la stessa malattia che per tutta la vita lo costrinse ad affidare il proprio equilibrio a un bastone. Al tempo Moravia era molto giovane, non aveva più di diciassette anni, non aveva avuto unioni sessuali e non aveva ancora trovato modo di maturare esperienza dell’altro sesso. Eppure, tra le pagine degli Indifferenti, il sesso sembra essere un motivo portante; e fu proprio in quel periodo che, grazie a un conoscente, Moravia fece il suo primo incontro con una insegnante.
In quelle giornate tutte uguali, Moravia si mise al lavoro, ma egli ancora non sapeva che Gli indifferenti sarebbe diventato uno dei romanzi più significativi del tempo.
Ne concluse la scrittura nel 1927, e dall’Hotel di Solda ne diede notizia alla zia, la poetessa Amelia Pincherle Rosselli (madre dei noti antifascisti Carlo e Nello Rosselli). La prima stesura avvenne su carta velina e non recava nemmeno la punteggiatura, tanto che, come l’autore raccontò, le virgole vennero aggiunte solo in seconda battuta.
Nonostante le buone prospettive di vendita, l’editore Alpes accettò di pubblicarlo solamente dietro il pagamento di cinquemila lire da parte dell’autore. Moravia accettò, supportato e incoraggiato da suo padre, che sin da piccolo riconosceva in lui grandi potenzialità. Peccato che, nonostante l’opera ricevette subito un’accoglienza meritevole, a Moravia non fruttò neanche un centesimo, poiché i diritti maturati pareggiarono la cifra che l’autore aveva versato per la pubblicazione.
E proprio a conferma delle ipotesi paterne, in pochissimo tempo Gli indifferenti scalò le classifiche e suscitò più clamore di quanto se ne aspettasse. In qualche modo, infatti, il libro rappresentava una rottura netta con la narratività precedente: in primo luogo per il suo forte realismo, ma anche perché Gli indifferenti inventarono un nuovo modo di scrivere.
Sin da subito Moravia si presentò come quello che sarebbe sempre stato: schietto, crudo, per alcuni impoetico, e realista, contro la tendenza più popolare del surrealismo. Ma soprattutto Moravia fu in grado di portare agli occhi di tutti temi ritenuti inaccettabili.
È questo il caso degli Indifferenti, il cui punto di partenza fu la volontà di rappresentare la crisi dei valori del XIX secolo. Un secolo buio, assoggettato dal fascismo, abitato da personaggi privi di affetti, senza scopi né ambizioni, nascosti dietro maschere d’ipocrisia.
Ma i personaggi degli Indifferenti sono reali: essi sono i protagonisti della borghesia decadente degli anni Trenta. Una matassa di esistenze grette, prive di qualsiasi ideale e morale, alle quali è preclusa una qualunque forma di amore e di ambizione.
I protagonisti degli Indifferenti sono la vedova Ardengo e il suo amante Leo, convinti di esser abbastanza scaltri da nascondere a tutti l’unione che va avanti da anni. Le loro discussioni ormai non sono che inutili giochi di potere; essi sono stanchi l’uno dell’altra: la vedova è al lastrico, e Leo è l’unico in grado di mantenerla, ma proprio all’inizio del romanzo, egli è stanco e la mette davanti a un ultimatum: rendergli tutti i soldi che gli deve.
Ma Mariagrazia, che di impegni e responsabilità proprio non ne vuole sapere, non si rassegna, e spera che sarà sua figlia, la giovane Carla, a salvare la famiglia dalla rovina. Su di Michele, invece, il figlio più piccolo, Mariagrazia non ripone tante aspettative, ed è invero convinta che sarà sua sorella a salvare anche lui. Ciononostante, Michele e Carla sono figli del secolo in cui sono nati, e anche loro sembrano non avere alcuna ambizione, alcuno scopo: passano le giornate ad annoiarsi, e sperano che da un giorno all’altro la loro vita cambi. Non fanno niente per sottrarsi al tedio dei loro giorni: attendono una novità per niente curiosi, per il solo fine di spezzare la noia. Neanche i personaggi più giovani riescono a brillare di luce propria: adulti, vecchi e bambini sono tutti mossi da appetiti elementari ed egoistici.
I personaggi degli Indifferenti sono pochissimi. Nessuno di loro brilla per qualità morali, ma anzi potrebbero esser definiti ripugnanti.
Dietro tale ragione si nasconde una delle principali cause che portò il fascismo a censurare l’opera prima di Moravia. Gli indifferenti, infatti, venne messo al bando per molto tempo: specialmente perché contraddiceva e capovolgeva del tutto gli ideali e i valori eroici incarnati dal fascismo. E per questa ragione, venne denunciato chiunque si apprestasse a stampare Moravia, e oltraggiato persino chi avesse da dire qualcosa di buono su di lui. Agli occhi degli indifferenti, tutto perde importanza, niente ha valore, neanche il denaro, gli affetti, il tempo. E così, anche l’arco temporale narrato da Moravia non va oltre i due giorni, l’ambientazione è del tutto accessoria, e i pensieri dei protagonisti, i loro sogni, e la loro interiorità, sono i luoghi in cui dimorano le azioni più grandi – quelle che ci permettono di analizzare la vera crisi del romanzo.