La storia editoriale che accompagna la pubblicazione del primo libro di Elio Vittorini, Il garofano rosso, è una storia che fin da principio trova il suo limite nelle restrizioni della censura fascista.
Comparso per la prima volta a puntate – tra il 1933 e il 1934 – sulla rivista culturale fiorentina, Solaria, Vittorini dovette attendere ben dieci anni prima che la sua opera potesse essere stampata da un editore e presentata sotto forma di un unico volume. Fino a quel momento, il testo era stato bandito dalla censura, in quanto ritenuto contrario alla «morale ed alle norme di buon costume»; accadde soprattutto a causa di una sessualità che si faceva protagonista nel racconto, e persino per le ragioni che conducono i giovani protagonisti di Garofano rosso ad abbracciare il movimento fascista, poiché ritenute indegne di menzione e colpevoli di macchiare «i nobili intenti» dietro cui si fondava il fascismo e si compiva l'adesione al movimento.
Conosciuto e rinomato come «lo scrittore giovane» dei suoi tempi, la firma di Vittorini sulla celebre rivista Solaria cominciò a comparire già nell'autunno del 1929.
Allora, Vittorini non era che un ventenne precoce: marito (si era sposato con Rosa, la sorella del poeta Salvatore Quasimodo), padre, pieno di idee rivoluzionarie, desideroso di compiere il suo ingresso nel mondo editoriale come «scrittore, giovane, spregiudicato e moderno, persino un po' d'avanguardia, battagliero e impegnato».
Eppure, come si è detto, nonostante a ridosso del suo ingresso a Solaria la composizione del Garofano rosso fosse già avviata, il primo libro dato alle stampe fu una raccolta di racconti, Piccola borghesia pubblicato nel 1931 dalle Edizioni di Solaria, seguita dall'intima cronaca di viaggio, Sardegna come un'infanzia – per la quale, una giuria composta anche dalla scrittrice sarda Grazia Deledda, gli attribuì un premio di tremila lire.
Tuttavia, ciò che realmente premeva a Vittorini fin dal suo approccio alla letteratura, oltre al desiderio di poter vivere di scrittura, era poter ritrarre i suoi tempi e gli ideali di una nuova generazione, a cui egli stesso apparteneva. Una generazione che aveva smarrito i buoni valori, disillusa dalla sconfitta della Prima guerra mondiale, ma alimentata dalle speranze, dai bei discorsi, che a torto individuavano nel Fascismo un'ideologia fatta più di azioni e meno chiacchiere.
Già il titolo, evocando un simbolo rosso di passione, annuncia non tanto un'autobiografia, quanto uno stato d'animo generazionale, fervido e irrequieto, che trascina i ragazzi a scuola, nei bar, per strada, nelle case, anche di tolleranza, accumulando esperienze e conoscenze: sono fascisti che attorno sentono l'ansia, la fretta, il sudore di chi ha marciato sino alla capitale e ora si aspetta grandi cose senza sapere quali. De Michelis C., Prefazione al Garofano rosso, Giunti Editore, Firenze 2018 (p. 8)
Quando uscì la sesta puntata di Garofano su Solaria, nell'aprile del '34, il fascismo inquadrò immediatamente l'opera sotto una necessità di doverla bloccare, di doverne impedire la sua diffusione.
Il numero incriminato venne allora sequestrato dal prefetto di Firenze, ma attenzione: non per la posizione di rilievo che il tema politico conquistava all'interno del romanzo, e nemmeno per quel riferimento temporale agli anni del delitto Matteotti e dell'affermarsi del fascismo, poiché la censura del tempo non poteva dirsi più tanto interessata all'ideologia quanto invece alla morale quotidiana. In sostanza, i termini entro cui l'opera di Vittorini venne messa al bando erano proporzionali alla componente sessuale ed erotica dei suoi scritti, come d'altro canto accadeva ad autori come Alberto Moravia e Marcello Gallian.
Costretto ad aspettare numerosi anni prima che le volontà di Vittorini potessero compiersi, Garofano rosso vedrà la luce solamente nel momento in cui, terminata la Prima guerra, nel 1948 lo scrittore vide ormai in quel libro qualcosa che non gli apparteneva più, ben lontano dalle sue intenzioni e modalità narrative.
Ma allora, quando uscì, ormai il romanzo acquisì un significato totalmente diverso rispetto a quello che Vittorini aveva provato a dargli. Nel frattempo la guerra era finita, Elio Vittorini aveva aderito al Partito comunista, e pubblicato alcuni di quelli che sarebbero stati i suoi romanzi più celebri: Conversazione in Sicilia (1941), Uomini e no (1945), e quando l'editore Mondadori gli propose finalmente di stampare Il garofano rosso, lo scrittore rimise in discussione tutto: in primis la validità di quelle pagine, in cui non riconosceva più come proprie le ragioni di quel tipo di letteratura; non riusciva più a sentirle sue, bruscamente interrotte dall'intervento censorio e da una revisione radicale che lo aveva allontanato dai suoi intenti.
Il garofano rosso è ambientato durante gli anni Venti, nella città siciliana di Siracusa. Il protagonista è Alessio Mainardi, un irrequieto liceale che aderisce con slancio alla prima fase antiborghese del fascismo.
Mainardi, nato in una famiglia ricca e borghese, figlio di un padre che un tempo era stato socialista ma che poi «si impone la necessità di salvarsi ognuno per conto suo» e diviene padrone di una fornace di mattoni, a discapito del lavoro e delle dure condizioni a cui sono sottoposti gli operai che lavorano per lui. «È spaventoso costringere la gente all'ignoranza per essere sicuri che non manchi chi faccia l'operaio», confessa Alessio Mainardi a sua sorella, prima di mettersi dalla parte dei fascisti «per antipatia verso quel socialismo dal quale discendeva mio padre col suo odioso modo di ragionare».
Il sedicenne Alessio è un ragazzo che si oppone ai genitori, che dà loro da preoccuparsi, salta la scuola, non si impegna, e non ha alcun interesse a essere promosso. Si innamora di una ragazza più grande di lui, Giovanna, la figlia di un colonnello, che gli manda un garofano rosso, chiuso in una lettera, come pegno d'amore: da qui partono tutti i suoi tormenti, perché qualsiasi cosa farà Alessio sarà concepita solo in funzione di poter riconquistare Giovanna, di cui perde totalmente le tracce. Mentre torna a casa per le vacanze e il padre si è ammalato pensa a Giovanna, ancora pensa e racconta solo di lei nella cava – un luogo fisico e al contempo metaforico in cui si incontrano Alessio e il suo migliore amico Tarquinio, dove ogni segreto rimane integro e al di fuori inconfessato.
Ma è proprio durante quel viaggio estivo, il rientro a casa di Mainardi per l'estate, che anche l'unica sua certezza, quella di aver qualcuno a cui confidarsi, qualcuno di cui possa fidarsi fino in fondo, viene rimessa in discussione, poiché dalla città gli arriva una lettera che lo mette sull'attenti su una possibile frequentazione tra l'amico Tarquinio e la sua amata Giovanna.
Potremmo inquadrare Il garofano rosso come un romanzo di formazione, la parabola di un giovane che da disilluso qual è, si illude che dietro l'ideologia del Fascismo possa nascondersi la vera rivoluzione.
Il romanzo porta in scena soprattutto gli umori, le passioni, i tormenti di quella generazione, una gioventù pronta a ritrovare se stessa nel fascismo, «a condizione che questo insista sul suo ruolo rivoluzionario, sulla sua capacità di interpretare il desiderio di rimescolamento sociale e culturale».
Sono quegli stessi tormenti a condurre Alessio Mainardi tra le braccia di Zobeida, prostituta presso una frequentatissima casa di tolleranza della città. E mentre la donna, seppur certa di non poter abbandonare il proprio mestiere, nei confronti del ragazzo si dimostra quasi compassionevole e amica, per Mainardi, Zobeida si trasforma presto in una sorta di divinità, una divinità che vorrebbe liberare dalle sue catene, con cui spera invero di poter condurre una vita migliore. Eppure, come nel caso di Giovanna, a cui neanche allora smette di pensare, Zobeida è la donna di cui gli ha parlato Tarquinio.
Rientrato dalle vacanze estive nel suo paese, Mainardi trova Tarquinio cresciuto, maturato: abbandona la casa dello studente in cui condividevano la stanza, e i loro rapporti si fanno sempre più infrequenti: allora tra i due amici non può che mettersi l'età adulta, a farsi limite e confine tra due momenti della vita la cui trasformazione è stata spesso raccontata: l'età infantile e quella matura. Poiché mentre da un lato, Mainardi rimette in discussione tutto ciò che bramava dall'amore di Giovanna e dalla possibilità di sentirsi da lei ricambiato, volgendo il suo sguardo alle case di tolleranza, ai bordelli, alle risse in piazza; dall'altro, Tarquinio si dimentica presto di quella donna di cui raccontava sarebbe riuscito a conquistare e a «fare sua per sempre», e punta gli occhi invece verso Giovanna, d'emblée non più attratto dai divertimenti sfuggevoli e gli incontri fortuiti, ma ormai cresciuto e divenuto adulto.
Ho apprezzato molto la storia raccontata da Elio Vittorini nel Garofano rosso, specie il tentativo di voler raccontare, attraverso uno sguardo molto soggettivo e interno al fascismo, ciò che ha condotto giovani su giovani al supporto di un'ideologia del tutto sconsiderata.
Il principale valore documentario del libro è tuttavia nel contributo che si può dare a una storia dell'Italia sotto il fascismo e ad una caratterizzazione dell'attrattiva che un movimento fascista in generale, attraverso malintesi spontanei o procurati, può esercitare sui giovani. Vittorini E., Prefazione al Garofano rosso, dell'edizione del 1948, Mondadori, Milano.
Nel tratteggiarne gli aspetti più diffusi, Vittorini lascia spazio anche all'indecisione di questi giovani, alle loro paure, così come Mainardi che, nel momento in cui la prostituta lo abbraccia, sente tutta la sua «vita immersa nella paura di non indovinare la mano che volevo seguire, dico la mano della più cara che non importava se conduceva all'inferno, se conduceva al paradiso».
E questa indecisione, che per tutto il romanzo accompagna le tribolazioni vissute dal giovane Alessio Mainardi, non può che farsi emblema del secondo intento vittoriniano – quello più intimo e meno immediato – che va al di là di raccontare una storia forte, che pullula di vitalità e da cui i lettori e le lettrici non riescono a staccarsi, ovverosia l'intento di voler ritrarre l'animo umano in un momento in cui, appena dopo le atrocità della guerra, dà fiducia a chi ancora gliela promette, cercando di far colpo nelle loro debolezze, e in ciò che di più forte hanno: la speranza.
La speranza di poter condurre una vita migliore, di avere finalmente giustizia; una speranza farlocca, ma che riesce a riunire attorno a sé le ambizioni di giovanissimi adolescenti e di un'intera generazione che ha favorito il diffondersi del fascismo.
A metà strada tra la fiction e il romanzo-documento, Il garofano rosso di Vittorini si alimenta di tenerezza e sentimentalismo, di sperimentazione e aderenza ai fatti. Una storia molto forte, e forse, finora, la mia miglior lettura di questi primi mesi del 2022.