È una giornata fredda di dicembre e dall’alto del monte Ortobene sorgo in lontananza una striscia appena più scura dell’azzurro del cielo e ho l’impressione che il mare si elevi al di sopra della montagna. Rossana Dedola, In Sardegna con Grazia Deledda, Perrone editore, Roma 2020
È proprio dal monte Ortobene che, per la prima volta, Grazia Deledda e suo fratello vedono il mare. Da questo medesimo punto esordisce l’indagine di Rossana Dedola, che intende tracciare un itinerario all’avanscoperta della Sardegna, attraverso i luoghi che la scrittrice Premio Nobel ha raccontato nei suoi libri.
Rossella Dedola, ricercatrice e docente della Scuola Normale di Pisa riveste l’incarico di analista didatta e supervisore dell’Istituto C.G. Jung e dell’International School of Analytical Psychology di Zurigo. Nata a Sassari, appassionata della propria Isola e dei suoi paesaggi sconfinati, In Sardegna con Grazia Deledda non è il primo libro che Dedola dedica alla scrittrice nuorese. Sua è anche l’autobiografia pubblicata per Avigliano editore, Grazia Deledda: i luoghi, gli amori e le opere.
Da quel monte Ortobene, «fatto di granito di tutte le forme», coperto di corbezzoli, lecci e querce da sughero, Dedola accompagna il lettore in un itinerario in giro per la Sardegna.
È la Sardegna arcaica quella che l’autrice vuole rappresentare. Una terra dimenticata ingiustamente, eppure abitata da genti che per l’archeologo Giovanni Ugas discenderebbero dai Shardana – antichi popoli mercenari a cui si doveva la distruzione dell’Impero Ittita e dell’Egitto dei faraoni. Una terra di cui tutti hanno dimenticato il passato glorioso, eppure testimone di un antichissimo tempo storico: l’età prenuragica e quella nuragica.
Con un’estensione di poco inferiore alla Sicilia e con uno sviluppo costiero molto più ampio, la Sardegna è più grande della Corsica […], di Creta, delle Baleari, di Cipro, di Malta, eppure l’isola è stata percepita a lungo al di fuori dalle principali vie di comunicazione. Rossana Dedola, In Sardegna con Grazia Deledda, Perrone editore, Roma 2020
All’origine della ricerca, Dedola si pone un interrogativo. Per quale ragione, la Sardegna, un’isola dalle infinite risorse, e dalle personalità illuminate, ha sempre avuto uno spazio marginale nella storia del nostro Paese?
Per quale ragione, un luogo pregno di storia, esplorato e raccontato da molti nel corso del Settecento e fino al Novecento, è stato dimenticato con tanta facilità?
L’autrice riconduce l’isolamento dei sardi a vari motivi: primi tra tutti la sua insalubrità a causa della malaria, e la cattiva fama dei suoi abitanti.
Infatti, i Sardi pelliti – il cui nome deriva dai lunghi mantelli di capra che arrivavano fino ai piedi e che davano agli abitanti un aspetto selvaggio – non erano affatto benvisti dai Romani. Considerati come dei veri e propri barbari, a quelle antiche credenze si deve anche la denominazione delle regioni centrali dell’isola: la Barbagia. Se a questo si aggiunge che la Sardegna sorge proprio al centro del Mediterraneo vien naturale comprendere il suo isolamento.
Eppure, nel corso dell’ultimo secolo, pare proprio che nessuno sia sia dimenticato che la Sardegna fosse abbondante di alberi. Tanto che, laddove Dedola ricordava alberi svettanti, ora non regnano che infiniti spazi vuoti.
Nella testimonianza di alcuni viaggiatori, oltre a quella di Balzac, che avevano attraversato la Sardegna prima del taglio sistematico di boschi e di foreste, l’isola era descritta come un’unica distesa di verde ricca d’acque che la difendevano dalla siccità, davano linfa a una flora estremamente varia e autoctona e abbeveravano e nutrivano una fauna molto differenziata. Le querce sfamavano famiglie intere, un solo albero con le sue ghiande riusciva a nutrire il maiale allevato in famiglia garantendo così la sopravvivenza per più di due mesi a due nuclei famigliari. Rossana Dedola, In Sardegna con Grazia Deledda, Perrone editore, Roma 2020
La Sardegna ha sempre vissuto sotto una sorte un po’ sfortunata. Abbastanza lontana dallo Stivale non è mai stata considerata come avrebbe meritato. Basti pensare che la madre di Calvino, Eva Mameli, una delle prime donne a specializzarsi in Botanica, nacque proprio in Sardegna. Ma la Sardegna è anche la patria di Antonio Gramsci; di Enrico Berlinguer; di Giulio Angioni e Sergio Atzeni; il luogo in cui Lina Merlin – una delle ventuno donne dell’Assemblea Costituente – fu mandata in esilio.
Dedola non ci narra soltanto di quelle personalità che abbiamo dimenticato ingiustamente. Ci racconta anche delle tradizioni, dei culti, dei modi di vestire, dei suoi tipici monumenti secolari.
Le domus de Janas (case delle fate); i menhir; gli affascinanti nuraghi; le tombe dei Giganti, l’incredibile varietà di pozzi sacri, attorno a cui le donne danzavano balli per la fertilità dei campi. Infatti, attorno all’acqua molte sono le credenze e i culti alimentati dalla sua venerazione.
Le feste patronali, San Giovanni, San Francesco di Lula, e molte altre. I dolci tipici, il cibo del posto, la preparazione del pane frattau, ma anche gli strumenti musicali, i balli tradizionali, il ballo tundu.
Dedola riserva ampio margine anche ai vestiti scuri delle donne, sa berritta per gli uomini, e i tipi diversi di velluto che si trovano da regione in regione, che consentivano a tutti di sapere da dove provenissero le genti. Tuttavia, questa parte di Sardegna nascosta che in pochi conoscono, è ancora viva in alcuni paesini e realtà sarde: basterebbe addentrarsi un po’ di più all’interno del territorio, a discapito dei soliti itinerari a cui i turisti si appassionano nel Nord dell’isola.
È come se, anche la Sardegna contemporanea, sia rimasta investita da una matassa di significati sacri, che nessun sardo ha mai dimenticato. Solo che tutte quelle feste, i riti e i racconti di cui è intrisa la Sardegna in pochi si prendono la briga di narrarle.