Ci sono dei libri che leggiamo proprio nel momento in cui sarebbe necessario leggerli, e quando questo succede, l’incontro fortuito e casuale di parole che ci comprendono appieno, allora non è facile scordarli.
A me è successo con Isola, il libriccino edito Iperborea di Siri Ranva Hjelm Jacbosen, tradotto da Maria Valeria D’Avino, da me letto durante il volo di ritorno da Roma per la mia città natale, Cagliari.
Iperborea, la mamma di tutte le copie italiane di Isola, è specializzata nella pubblicazione di testi scandinavi in un formato insolito: libriccini stretti e lunghi che si sviluppano in verticale, dalle copertine acquarello e molto ricercate.
La storia raccontata dalla Jacobsen, classe 1971, danese ma di origini faroesi, è quella scelta dalla scrittrice per consegnarsi ad un pubblico che, sin dal suo esordio, l’ha accolta a braccia aperte.
Isola racconta il viaggio di una giovane ragazza danese che, con i suoi genitori, parte verso l’isola Suðuroy, quella da cui suo nonno Fritz si allontanò per cercare un destino migliore, e sua nonna Marita fuggì verso la modernità, che ha sempre sentito chiamare “casa” ma dove lei non è mai stata.
Ci troviamo nelle Isole Faroe, un arcipelago sconosciuto e poco esplorato nelle acque dell’Atlantico, fatto di molta natura, e immense distese di mare dove perdersi coi pensieri, spalle alle montagne. Il viaggio che la protagonista di questo libro compie, non è solo fisico, alla ricerca di quel posto che tutti hanno sempre chiamato “casa” e che lei non conosce, è soprattutto il viaggio nella storia di una famiglia e di questo arcipelago, sperduto nell’Atlantico, che è stato coinvolto nella Seconda Guerra Mondiale, sempre in lotta per la propria autonomia dalla Danimarca, fatto di una lingua incomprensibile ma gentile agli orecchi di tutti.
Isola procede veloce, alternando il passato e il presente, in una narrazione fitta ed entusiasmante, dove ogni racconto di vita rimanda ad una leggenda o ad un mito. Racconta l’amore dei suoi nonni, la guerra e la povertà, l’amore segreto tra sua nonna Marita e Ragnar il Rosso, un falegname filosofo e ribelle.
In maniera particolare, sempre con estrema gentilezza e attraverso poetiche descrizioni di paesaggi naturali, la Jacobsen si sofferma sull’esperienza dell’emigrazione, sui sentimenti provati, a cui molti non possono sottrarsi, costretti a lasciare casa senza mai farci ritorno. E allora casa «non è per forza un concetto geografico. Nemmeno se si guarda un atlante». È qualcosa che si ha nel cuore, un senso di appartenenza a cui abbandonarsi quando se ne ha bisogno.
Isola è soprattutto un inno d’amore che Siri Jacobsen canta – con una voce bellissima e soave – rivolgendosi alle Isole Faroe, raccontando i legami di una famiglia realmente esistita, probabilmente ispirandosi alla sua, e legittimando, una volta per tutte, la necessità che ognuno di noi ha di individuare un’Itaca a cui approdare quando si è perso.