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Immagine del redattoreAldostefano Marino

L'arte della gioia, Goliarda Sapienza

È rimasto ingiustamente sconosciuto per tanti anni quel capolavoro dell'Arte della Gioia. Rimbalzato da un editore all'altro, prima che questo romanzo riuscisse a ricavarsi la propria finestra nel panorama editoriale sarebbero dovuti trascorrere vent'anni.


Ma che cosa risultava così ostile agli editori degli anni Settanta? Che cosa portava l'editore che poi l'avrebbe pubblicata nei primi anni Duemila a non riconoscersi nel lavoro di Goliarda Sapienza, e anzi a prenderne le distanze con convinzione? Forse il timore che delle tematiche così avanguardistiche potessero trovare resistenza presso i lettori del Novecento? Forse, ancora, il fatto che la narrazione procedesse lenta, di una lentezza quasi estenuante?


Goliarda Sapienza, l'autrice dell'ormai celebre L'arte della gioia, è stata una scrittrice e un'attrice italiana. E prima ancora che tutto questo, è stata una paladina dei diritti, di una libertà di esistere e di esprimere le proprie opinioni che si librava oltre il consueto. Oltre le convenzioni, e le norme imposte da una società sempre attenta alla forma, e poco alla sostanza delle cose.


Figlia di un avvocato socialista Giuseppe Sapienza, e di Maria Giudice, – la prima direttrice donna della Camera del Lavoro di Torino – già le sue origini promettevano bene. Perché il germe del libero pensiero della scrittrice siciliana, così manifesto, trova origine fin dai primi anni di vita di Goliarda Sapienza. Non c'è da stupirsi, dunque, se Sapienza non seguì con linearità il classico percorso studentesco.


Nata nel 1924, poiché i suoi genitori non volevano che la sua educazione potesse essere influenzata dall'istruzione orientata, Sapienza studiò da autodidatta. All'età di sedici anni si iscrisse all'Accademia nazionale di arte drammaticadella capitale, dove la famiglia si trasferì abbandonando le terre siciliane.


È proprio dall'Accademia nazionale che Goliarda Sapienza comincia la propria carriera di attrice teatrale; dapprima distinguendosi in celebri rappresentazioni pirandelliane; in seguito, abbracciando in toto una recitazione che sposava alla perfezione i propri ideali di libertà. Saltuariamente, Sapienza lavorò anche per il cinema, spinta soprattutto dal regista Blasetti. La troviamo ora come comparsa nel celebre Senso (1954) di Luchino Visconti, ora nell'Ulisse (1955) di Mario Camerini, ora nelle Persiane chiuse (1950) di Comencini.


Dal punto di vista sentimentale, Sapienza ebbe due amori importanti: il primo, quello con Citto Maselli, per la quale regia recitò nel film Gli sbandati. Il secondo, quello fondamentale per l'affermazione dell'Arte della gioia, con l'attore Angelo Maria Pellegrino.


All'inizio degli anni Sessanta, Sapienza abbandona la carriera di attrice per dedicare anima e corpo alla sua vera vocazione, essere una scrittrice. Non una scrittrice qualunque, bensì una che con le proprie parole avrebbe fatto leva sulle nuove generazioni, tentando di diffondere quei nuovi ideali di libertà e uguaglianza a discapito delle convenzioni sociali e delle regole imposte dal galateo della società.


I suoi cinque romanzi più famosi sono delle vere e proprie autobiografie. Un ciclo di libri che, a partire da Lettera aperta (1967), raccontano la scrittrice fin dall'infanzia catanese, passando per la terapia psicoanalitica, l'esperienza nel carcere di Rebibbia. Fondamentale, in quegli anni, fu anche il contributo dell'editore Beppe Costa, che tentò di farle assegnare il vitalizio della Legge Bacchelli – un sostegno economico che lo Stato garantiva a personaggi di noto interesse artistico e culturale.


Ma il romanzo più scandaloso di Goliarda Sapienza è L'arte della gioia, portato a termine nel 1976 nella residenza estiva di Pellegrino. Un romanzo che venne più volte rifiutato dai principali editori, e che per vent'anni giacque in una cassapanca nello studio di Pellegrino.


Solo dopo la morte di Goliarda Sapienza (1996), Pellegrino decise di rendere merito all'autrice. Nel 1998, L'arte della gioia venne stampato per la casa editrice Stampa Alternativa in un migliaio di esemplari. Ma per tre anni, nessuno continuò ad accorgersi di Goliarda Sapienza. Almeno finché l'allora dirigente di Rai Tre, Loredana Rotondo, non dedicò a Goliarda un programma nella serie Vuoti di memoria.

Lavoro malinconico ma suggestivo, ricco d'evocazioni, con numerose testimonianze fra cui la mia. Fu mandato in onda, caso raro, più di una volta, anche se in orari come al solito impossibili. Non fu vano. Servì a destare l'interesse degli onnipotenti distributori, sensibili ai supporti mediatici, i quali caldeggiarono alle edizioni Stampa Alternativa una ristampa più sostanziosa, che vide la luce nel 2003. Pellegrino A., Lunga marcia dell'arte della gioia, Prefazione a L'arte della gioia, Einaudi, Roma-Milano, 2017 (p. v)

Sempre grazie al contributo di Pellegrino, il romanzo venne affidato a una giovane agente letteraria che si occupava «dei paesi di lingua tedesca». Così cominciò il vero successo di Sapienza, prima a Berlino, e poi in Francia, dove Goliarda sarà da tutti riconosciuta come la portatrice di valori e novità necessarie e incredibili.


La storia raccontata nell'Arte della gioia è quella di un'eroina moderna, Modesta – il cui nome fa contrasto con il ruolo assunto dalla protagonista.


Il libro infatti racconta la storia di una giovane donna, che nella violenza subita dal padre, riconosce i piaceri che il proprio corpo può darle. Già questa prima predominante peculiarità rendeva Modesta un personaggio assai scomodo per l'editoria d'allora. Un'editoria che, solo a parole, voleva farsi portatrice e rappresentante di un cambiamento importante. Poiché Modesta, scampata a un incendio che le porta via la sorella disabile e una madre assente, trova rifugio in un convento dove è protetta dalla madre superiora, la capa suprema dell'istituto, suor Leonora.


Da quel momento, per Modesta comincia una lotta, dapprima interiore, poi sempre più attiva, per emanciparsi all'interno di una società castrante. Modesta non crede in Dio, e anzi lo rinnega: in modo particolare è avversa all'istituzione della Chiesa, e nel momento in cui la peccaminosa suor Leonora si toglie la vita, per sua volontà sarà affidata alla protezione della sua nobile famiglia.

Lì, tra le mura della lussuosa villa del Carmelo, Modesta si innamora della giovane principessa, Beatrice (concepita da suor Leonora), ed è verso lei che decide di orientare le proprie idee di innovazione e cambiamento. Ma quell'innamoramento è nascosto agli occhi dell'austera nonna Gaia, l'anziana a capo della famiglia dei Brandiforti, che la convince a unirsi in matrimonio con Ippolito, il figlio disabile che vive la propria esistenza in una camera da letto, sottratto agli occhi e ai giudizi del mondo.


L'arte della gioia è un romanzo lunghissimo, che segue le vicende di Modesta e del suo mondo per il corso di un secolo intero.


Nata nel 1900, Modesta sarà portatrice di rivoluzioni e scombussolamenti. A partire dalla sua idea che le donne abbiano da riconquistare un proprio riconoscimento, una posizione che è sempre spettata loro di diritto, Modesta si spingerà oltre le mura della villa, intenzionata a laurearsi e a diventare un'insegnante nel Continente. Grazie anche alla preziosa biblioteca del defunto fratello di Gaia, Jacopo, Modesta imparerà sui libri il senso della lotta che decide di intraprendere.


Nel frattempo, il fascismo, il comunismo, l'antifascismo e soprattutto la guerra (la Prima, e poi la Seconda) divengono lo sfondo di una narrazione che trae linfa vitale da queste ideologie. Poiché L'arte della gioia più che essere un romanzo sulla vita di Modesta, è il romanzo che intende raccontare i pregiudizi di un secolo, i tasselli che, anno dopo anno, hanno costruito – in Italia e nel mondo – un impero di convenzioni e stereotipi.


Come Elsa Morante aveva fatto proprio in quegli anni nella Storia, soffermandosi più sulla narrazione della guerra, Sapienza, sente il dovere di raccontare un secolo di contraddizioni e le ingiustizie sofferte dall'essere umano. Senza aver paura di osare, senza mai tirarsi indietro quando sente la necessità di ribadire il diritto delle donne e degli uomini di emanciparsi.


Sapienza è un'anti-fascista, una profeta dell'amore libero: è lei che insegna agli uomini il modo in cui una donna può provare piacere. È lei che dà agli omosessuali il diritto di esserlo, e ai disabili la dignità che non è loro riconosciuta. E mettendo in bocca a Modesta certe parole, certe sensazioni, al lettore, il messaggio arriva prepotentemente.


È un peccato che L'arte della gioia non sia stato letto dai lettori della seconda metà del Novecento, poiché direttamente a loro quelle parole erano destinate.


L'arte della gioia reca dentro di sé una potenza di idee che si spinge oltre la narrazione. Una narrazione che alterna continuamente diversi stili e registri narrativi: dalla prima persona Sapienza passa con nonchalance alla terza, dal romanzo si serve del genere diaristico, e perfino delle peculiarità della sceneggiatura teatrale. I dialoghi sono di sicuro il punto di forza dell'Arte della gioia, poiché molta della materia narrata e delle idee di cui si fa portavoce sono affidate ai personaggi che popolano le pagine di questo incredibile romanzo.

Non può essere considerato come gli altri cinque un romanzo autobiografico, eppure, in Modesta c'è molto di Sapienza. Non tanto nelle disgrazie che accompagnano la sua vita, quanto nei pensieri, nelle sue idee di rivoluzione. Una rivoluzione che non appoggia la violenza, ma che è volta al supporto di tutti gli uomini e tutte le donne.


Sapienza non si nasconde solo dietro e dentro Modesta; Sapienza è anche la giovanissima Beatrice, il coraggio dell'antifascista e medico Carlo, l'emancipazione della detenuta Nina. È persino nonna Gaia, poiché riconosce in sé, i preconcetti e gli stereotipi che ha ereditato.

Per giunta, insieme ai nomi fittizi di personaggi-attori di un'epoca di cambiamento, compaiono i grandi nomi della rivoluzione: Benito Mussolini e le camicie nere; i valorosi Filippo Turati e Carlo e Nello Rosselli e molti altri. L'arte della gioia è quindi un romanzo che si serve della fiction per farsi testimone di quel cambiamento, e sarebbe meglio dire, promotore di un'innovazione necessaria.


Ciò di cui non può prescindere L'arte della gioia è l'evoluzione di un linguaggio, fino ad allora ritenuto scabroso.


Un linguaggio sfacciato, che non si pone freni e che si pone al servizio della verità delle parole. Per Goliarda Sapienza non sarebbero potuti esistere altri modi per raccontare l'emancipazione, e le parole sono tutte quelle che la nostra grammatica ci offre, nessuna esclusa. Dai peli pubici, alla cacca, ai genitali femminili e a quelli maschili. Come avrebbe potuto, infatti, raccontare il corpo della donna, il piacere, la gioia del sesso e della masturbazione senza utilizzare questi termini?


È dai termini scelti che comincia la rivolta di Sapienza, dal lessico adoperato, dalle parole che per tanto tempo si è cercato di reprimere. Di evitare.

Per questo L'arte della gioia è un romanzo indispensabile. Perché non può essere definito semplicemente un romanzo, ed esaurirsi nei limiti di quella definizione.


L'arte della gioia è evoluzione, progresso, non mero esercizio di storie e intrecci ben costruiti. È testimonianza di un momento storico ben preciso, e dentro di sé porta, riconoscibilissimo, il germe di una rivoluzione che tutt'oggi è in corso.

La rivoluzione delle libertà. Una rivoluzione che vuole imporre il diritto alla felicità, a quell'arte della gioia, che implica la libertà di essere. Come si è. O Come ci pare di essere.

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