È da quando è cominciata la pandemia, ormai oltre il biennio scorso, che desideravo leggere La peste, il titolo forse più celebre dello scrittore algerino Albert Camus. Tuttavia, nonostante non abbia affatto esitato ad accaparrarmene una copia appena l'ho desiderata, per la lettura ho a lungo rimandato, sperando che potesse coincidere con la fine dell'epoca Corona-Virus.
Ma infine, a nulla è servito lasciar trascorrere tutto questo tempo, perché ancor prima che la pandemia possa dirsi conclusa una volta per tutte, La peste – complici anche diverse letture che l'hanno spesso tirato in causa – mi ha chiamato. E io, finalmente, ho risposto.
Dico finalmente perché, secondo me, è l'opera tra tutte quelle lette di Camus che mi ha permesso maggiormente di avvicinarmi alla poetica e al pensiero del suo celebre compositore. E ribadisco, finalmente, perché il genio di Camus – che di certo ha dovuto patire la Seconda guerra mondiale e la mancata libertà di espressione e dunque l'incattivimento pressoché totale dell'essere umano – racconta di un fatto che oggi, oltre settant'anni dopo la sua prima pubblicazione presso l'editore Gallimard, si realizza pianamente come l'oggetto di una profezia.
Se lo avessero pubblicato oggi, probabilmente, l'immediata classificazione della Peste nel calderone della letteratura distopica verrebbe meno, e si insisterebbe invece a collocarlo quantomeno vicino alle opere del cosiddetto realismo letterario, perché pare proprio che giorni simili a quelli vissuti dai cittadini della ridente Orano (Algeria) non siano altro che una rappresentazione di una società, tale quale la nostra, che d'improvviso si trova a fare i conti con l'irruenza di una realtà del tutto imprevista. Sconosciuta, e dunque incalcolabile.
Esce fuori dai tombini, la peste che ha colpito la piccola cittadina abitudinaria di Orano in un imprecisato momento degli anni Quaranta.
Inizialmente diffusa tramite grossi ratti neri, troverà sempre nuovi modi, nel corso della narrazione, di raggiungere nuove vittime. Nel suo tragitto imprevedibile, la peste non si limiterà a sconvolgere chi sotto quella terribile epidemia c'è rimasto secco; ma sarà invece pronta a portare scompiglio persino nella vita ordinaria di persone che della peste avvertono la paura e il terrore di entrarvi in contatto.
A raccontare la sua lunga pericolosità è un medico di Orano, il dottor Bernard Rieux, a cui Albert Camus affida il compito di narratore. Non solo narratore, ma anche protagonista, perché è proprio attorno a lui che si concentrano le vicende degli appestati e dei terrorizzati. E proprio da lui partono, quando, salutata la moglie che andrà a curarsi con l'elioterapia al di là della città, Rieux non ha ancora idea della quantità di tempo che dovrà trascorrere lontano da lei.
Come per lui, la sorte è avversa a tantissimi abitanti di Orano: i primi a subirne le conseguenze sono proprio i separati, coloro che prima che scatti l'allarme e l'intera città venga blindata, impedito ogni ingresso e ogni uscita, non fanno in tempo a raggiungere le persone con cui erano soliti condividere le giornate.
Se la peste non raggiunge tutti gli abitanti, tuttavia, la paura di poterla contrarre è prossima a ogni singolo concittadino di Bernard Rieux.
La peste è sicuramente un romanzo su un'epidemia, nella misura in cui, però, questa infausta malattia si fa emblema di un'esagerazione, un'estremizzazione della realtà affinché la rappresentazione dell'essere umano possa adeguarsi agli intenti di Albert Camus. Si potrebbe dunque dire, con più sicurezza, che La peste è un romanzo sulla paura, e in particolare sull'individuo (che Camus mai ha smesso di osservare, e di analizzare nei propri romanzi). Su un individuo che d'improvviso si trova a dover rallentare nelle proprie giornate, a sperare in una fine, e spesse volte a doversi organizzare per infrangere norme che sono state stabilite. A ricominciare daccapo, ogni volta, dopo il dolore, senza mai sapere che cosa dovrà temere.
Davanti a tale precipizio c'è chi reagisce mettendosi a disposizione degli ammalati, come Rieux, e come il suo giovane aiutante, Jean Torreau – scappato dalla madrepatria dopo esser inorridito davanti a una condanna a morte sostenuta dal padre avvocato.
C'è chi come Cottard, per sopravvivere specula sulle disgrazie che incombono sulla città, dandosi al mercanteggio e ricevendo soldi per aiutare incauti disgraziati che cercano di mettersi in fuga per raggiungere le persone da cui hanno dovuto separarsi.
C'è chi si aggrappa al bisogno d'amore, come il giornalista Raymond Rambert che teme non riuscirà più a congiungersi con la propria amata e farebbe di tutto per abbandonare il Paese, oltrepassando i divieti e ponendosi in una posizione di difficoltà.
E infine c'è anche chi, come spesso accade davanti all'imprevedibile, si ostina a rifiutarsi di credere che tutto ciò che sta accadendo a Orano sia vero, chi urla al complotto; chi si rifugia nella preghiera perché non sa più dove ritrovare un po' di fiducia nella salvezza.
Nella Peste di Camus l'epidemia si fa allegoria di un mondo in cui l'uomo (che peraltro è straniero alla terra che calpesta) non ha tuttavia scampo davanti al male che incombe su di lui.
L'unica via di fuga, allora, per i personaggi del romanzo, è rappresentata dalla possibilità di svestirsi degli abiti egoistici e ipocriti che indossano. Liberarsi, per una volta, di quell'attenzione esclusiva verso loro stessi, per dedicarsi invece al bene di una comunità. Uno scampo che però non è concesso a tutti i personaggi che popolano le pagine della Peste.
Certo non si potrà non ritrovare tra queste righe un velato (e neanche tanto) richiamo al nazismo, alla soppressione delle libertà umane avvenuta negli anni Quaranta; e persino pare alludere al nostro tempo, seppur non considerassimo i recenti fatti che hanno sconvolto (e ancora sconvolgono) il mondo. Un mondo in cui l'amministrazione del potere è pressoché subdola e invisibile, poiché sempre si inneggia verso una libertà del tutto fittizia, che in ogni caso affonda le proprie radici nell'ambizione di poter godere egoisticamente di privilegi, che invece esistono solo in virtù di una ristretta cerchia di persone davanti a una minoranza di malcapitati.
Con una lingua e uno stile più immediato rispetto alle opere che vi ho narrato finora, La peste è un romanzo che oggi potremmo considerare invecchiato piuttosto bene. Una storia a cui nessun lettore potrà restare del tutto indifferente, ritrovando se stesso tra queste pagine piene di dolore e, perché no?, anche di rara speranza.