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Immagine del redattoreAldostefano Marino

La vita agra, Luciano Bianciardi

Oggi, la figura di Luciano Bianciardi è ancora lontana dal pieno riconoscimento che si meriterebbe. Tuttavia, forse in virtù dell'atteso centenario dalla nascita che ricorre nel 2022, da qualche anno appare evidente il lavoro di riscoperta che diversi editori stanno compiendo attorno alla sua persona.


In particolare, degna di nota è la cura che l'editore milanese ExCogita ripone nella ristampa delle opere di Bianciardi, accompagnate da un apparato di annotazioni critiche che permettono di «esplorare il tessuto culturale e sociale [...] e di scoprire i collegamenti con le altre opere di Bianciardi e con quelle da lui tradotte, rivelandosi quindi indispensabile strumento didattico per l'approfondimento della lettura».

Il tentativo di editori come ExCogita è quello di riportare luce sull'opera e sulla biografia di un autore anarchico, rivoluzionario, che ha tentato di cambiare il Paese con le sue idee di libertà ed emancipazione. Una personalità sempre tesa verso le ingiustizie dei lavoratori e verso un mondo impoverito dalla guerra, troppo interessato al lucro, ma che poco si preoccupava delle condizioni precarie degli individui che partecipavano direttamente alla ricostruzione del dopoguerra.


Amato fin dagli esordi, per poi finire offuscato dal tempo, Luciano Bianciardi è stato un personaggio significativo nel panorama letterario e culturale del Novecento italiano.


Non soltanto scrittore ma attivista, traduttore letterario, giornalista, bibliotecario e critico televisivo. Bianciardi ha dato prova delle sue doti e di una acuta sensibilità – spesso accompagnata da un'ironia sfrontata e irriverente – contribuendo in maniera significativa al fermento culturale del dopoguerra italiano.


L'opera e la vita dell'autore si fanno portavoce di un profondo disagio: l'impossibilità degli intellettuali del dopoguerra di dar seguito fino in fondo al proprio impegno politico e sociale. Un impegno che, per Bianciardi, sfocia nella presa di coscienza, e in un conseguente sentimento di disillusione, proveniente dalla consapevolezza di non poter fare nulla per accelerare il cambiamento auspicato.


Figlio di una insegnante che esigeva l'eccellenza negli studi, e di un cassiere alla Banca Toscana di cui Luciano sempre si considerò amico più che figlio, Bianciardi si avvicinò alla lettura all'età di otto anni, attraverso la storia dei garibaldini dei Mille di Giuseppe Bandi.


Dopo il liceo classico Carducci di Grosseto, l'autore della Vita agra si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa e maturò una vicinanza agli ideali del liberalsocialismo. Tuttavia, nel '43 abbandonò gli studi per arruolarsi nell'esercito, concludendo l'università solo dopo la fine della Seconda guerra.


In seguito agli esordi come professore in una scuola media, Bianciardi venne assunto alla direzione della Biblioteca Chelliana di Grosseto, mettendo a punto uno tra i primissimi sistemi di promozione libraria itinerante: il Bibliobus.


Proprio l'iniziativa del Bibliobus non può che essere letta come il primo tentativo esplicito di Bianciardi di avvicinare a una presa di coscienza anche quelle persone a cui l'istruzione e gli studi erano negati. E inoltre, esso rappresentò per lui l'occasione di osservare da vicino le persone, le voci dei suoi futuri romanzi, di comprenderle nel profondo, fino a condurlo a una viscerale compartecipazione di quelle ingiustizie. Fino a renderle il nucleo di ognuna delle battaglie attiviste e letterarie che da allora avrebbe intrapreso.


L'avvicinamento di Bianciardi al settore culturale lo portò a scrivere per le maggiori testate del tempo.


Dapprima collaborò con piccole stampe locali, per approdare in seguito a testate ideologiche di ampio respiro: come Avanti!, Il Mondo e Belfagor. L'arrivo nell'ambiente culturale, tuttavia, significò molto più del suo diffuso riconoscimento in qualità di giornalista. La scrittura fu soprattutto un modo attraverso cui esplicitare le proprie idee, e porre la basi di un'idelogia che raggiungerà il suo apice con i motti del Sessantotto.

Forse in virtù della vicinanza al paese di Ribolla, che raggiungeva a bordo del suo camioncino colmo di volumi e pubblicazioni, Bianciardi abbracciò l'attivismo a partire dall'osservazione delle condizioni di quelle genti, di quei lavoratori del mondo operaio, specie i minatori, che vivevano in condizioni precarie e piuttosto desolanti. Una porzione di società che sopravviveva solo grazie alla vita agra di miniera, ma esonerata dal prendere parte alla vita vera.


Il 4 maggio del 1954 l'esplosione di un pozzo comporta la morte di 43 lavoratori, per cui Bianciardi e Carlo Cassola scriveranno un'inchiesta a quattro mani, I minatori della Maremma, pubblicata dall'editore Laterza. E quella presa di posizione divenne per Bianciardi un punto di divergenza, perché lo condusse a riflettere sulla sua vita passata, e sulle possibilità future che aveva per affermare la propria voce oltre la paura. Una voce anarchica e sincera che dalla Toscana condurrà Bianciardi a Milano, per collaborare alla costituzione di una nuova casa editrice, la Giangiacomo Feltrinelli Editore.


I rapporti con l'editore Feltrinelli non dureranno per molto, ma è grazie a quella casa editrice se viene data alle stampe la sua prima opera, Il lavoro culturale.


Si tratta di un romanzo dichiaratamente autobiografico, uscito nel 1957, che racconta la trasformazione di un intellettuale di provincia tra il secondo dopoguerra e gli anni della ricostruzione. Cresciuto tra l'arte e le briglie del fascismo, Bianciardi finì per dimostrarsi indigesto finanche al mondo editoriale, a quella vocazione di libertà costituita di sole apparenze e azioni circoscritte, e si dedicò a una vita vagabonda di traduttore e pubblicista.


Il lavoro culturale rappresenta il via dell'attivismo di Biancardi – primo volume di una tetralogia che porta in scena la vita dell'autore e che raggiungerà il suo apice con la pubblicazione da parte di Rizzoli del più celebre tra i suoi romanzi, La vita agra. Fu proprio la composizione della Vita agra che gli diede la possibilità di manifestare tutta la sua disapprovazione verso le condizioni dei lavoratori di Ribolla. Tanto che la storia (in grande parte autobiografica) esordisce proprio dal desiderio di vendetta di un io narrante, che raggiunge Milano per compiere un attentato alla sede milanese dell'azienda titolare della miniera esplosa.


La vita agra esprime la dirompente vena anarchica di Bianciardi, presa di posizione che tuttavia sfocia nella drammatica consapevolezza del protagonista di non potersi opporre concretamente alle ingiustizie, fino alla rassegnazione di non riuscire a piegarsi a quella vita di privilegi, alimentata dalle ingiustizie di una società marcia.


La vita agra trabocca di verità, di vicinanza alla realtà dei fatti, realizzata attraverso un uso sperimentale della lingua, che dà vita a un'opera estremamente popolare e al contempo estremamente letteraria.


Bianciardi fa fatica a scindere l'opera dalla propria autobiografia, e se inizialmente il protagonista della Vita agra raggiunge Milano per un senso di vendetta, non appena vi arriva rimane folgorato dal lusso che avvelena persino le attività e le ambizioni più concrete. È la Milano del cabaret, dei pittori futuristi, che accoglie con frenesia e dinamismo chi intende adeguarsi ai tempi, assecondarli, sfruttarli per il proprio arricchimento. E sotto questa luce, persino il protagonista in cerca di giustizia rimane abbagliato dall'impossibilità di seguitare i suoi obiettivi. Il provinciale che lascia la famiglia e giunge nel capoluogo lombardo è allora sepolto dalla burocrazia, a stento sopravvive ai costi esorbitanti della vita nevrotica di Milano ed è costretto a vincolarsi al lavoro dipendente, fino alla decisione di rinunciarvi, senza tuttavia sentirsi mai del tutto libero.


Milano, già protagonista delle opere di Bontempelli, vive tra le pagine di Bianciardi un coinvolgimento ancora maggiore rispetto alla trasformazione e al boom economico italiano, al consumismo dilagante, alla velocità dell'industrializzazione.


Una furia di rinnovamento che il narratore disadattato non riesce a sottoscrivere, ma che percepisce ovunque volge lo sguardo: dietro le intenzioni della politica espresse attraverso frasi fatte private dell'azione, ridotte a mero linguaggio di casta; dietro gli ideali meramente estetici degli intellettuali. Una situazione che da Bianciardi è descritta tra le righe attraverso il sarcasmo, utilizzato per favorire una critica al riparo dalle censure.


E se oggi la lettura della Vita agra potrebbe apparire ostica a un lettore contemporaneo, e i suoi metodi narratologici quantomeno superati, lo stile di Bianciardi si propone nella sua massima espressione. Grazie allo studio attento delle letterature straniere, le opere di Bianciardi si appropriano del ritmo della narrativa americana, raggiungendo una commistione tra un'amara ironia e una desolante critica sociale. Dove la l'intreccio e la tipica struttura della narrazione novecentesca, non sono altro che un'esca attraverso cui esporre la sua desolazione circa la contemporaneità che vive.






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