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Immagine del redattoreAldostefano Marino

La vita di Irène Némirovsky, Philipponnat - Lienhardt

La vita di Irène Némirovsky è una biografia densa che non si limita a raccontare la vita di una delle autrici più importanti della letteratura, ma che ripercorre i suoi passi – dalla sua infanzia fino alla scomparsa prematura nei campi di concentramento nel 1942 – ponendoli all'interno di un contesto storico ben preciso, raccontato con dovizia di particolari.


L'11 febbraio 1903 venne al mondo una bambina chiamata Irma per via della sinagoga e Irina come la nipote dello zar. O. Philipponnant, P. Liendhardt, La vita di Irène Némirovsky, Adelphi, Milano 2009 (p. 24)

Nata nel febbraio del 1903, a Kiev, Irma Irina (detta Iroska) ha vissuto in prima persona la rivoluzione russa dei primi del Novecento e la strage degli ebrei. Figlia di un ricco banchiere sempre in viaggio per lavoro, e di una madre con cui mai riuscì a trovare una via di comunicazione, leggere la biografia più autorevole dedicata all'autrice può essere d'aiuto non solo per comprendere e interpretare i suoi scritti, ma anche per approfondire quegli anni infausti durante cui le libertà e i diritti degli esseri umani di tutto il mondo vennero messi a repentaglio.


L'infanzia di Irène fu un'infanzia triste, piuttosto solitaria.


L'infanzia di Némirovsky fu scombussolata dalle atrocità dei pogrom che si abbatterono sulla città di Kiev per ben due volte, una delle quali riuscì a mettersi in salvo grazie alla governante – forse la presenza famigliare che più le si dimostrò vicina e affezionata.


La Madamigelle Rose nemirovskiana, Zézelle, era stata reclutata da sua madre Anna, una donna gracile e molto materna di cui Irène serberà sempre un caloroso ricordo. La sua prima compagnia, una confidente d'eccezione che comparirà spesso nei suoi testi. Lo stesso, invece, non si può dire del legame ostile che teneva unite Irène e sua madre. Anna, che dal momento in cui aveva partorito sua figlia sentì il peso dell'età e dell'invecchiamento. Anna interessata al lusso e al denaro più di qualsiasi altra cosa, e che «desiderava ben altri sguardi che quelli del marito, sprizzanti acume e volontà più che concupiscenza».


Irène non frequentò mai la scuola, poiché sua madre era troppo preoccupata a renderla una ragazzina modello per permetterle di frequentare delle compagne e avere delle amicizie.


Sempre per volontà di sua madre, l'educazione le venne impartita da un'istitutrice tirannica e dispotica, e specialmente da quelle letture cominciate precocemente, dentro cui la giovanissima scrittrice cercava altre vie possibili e analizzava il mondo e le ingiustizie che la vedevano protagonista. Non sarà certo per un'ammirazione nei suoi confronti che nei romanzi di Némirovsky, le protagoniste saranno per lo più figure di donne detestabili, capaci di passare sopra qualsiasi affetto e legame familiare per raggiungere i propri scopi.


Sempre interposta tra lei e i suoi fantasmi, Irina era per Anna il promemoria del suo matrimonio, l'unità di misura della sua età , un «certificato di nascita vivente». Peggio, una rivale [...]. Di qui l'ostinazione di Anna nel vestire la figlia, sin dopo la maggiore età, con abiti da bambina. Non fosse stato per Leonid, Irina sarebbe stata depositata senza rimorsi in un pensionato francese. O. Philipponnant, P. Liendhardt, La vita di Irène Némirovsky, Adelphi, Milano 2009 (p. 57)

La sera, sempre gli stessi giochi, mentre ascoltava Zézelle canticchiare vecchie canzoni francesi: fu proprio lei a insegnare il francese a Irène, lingua di cui si servirà per scrivere i suoi romanzi. Insieme alle lezioni, a guidarla verso l'amore per la Francia, oltre le trasferte invernali con i genitori nella Costa Azzurra, i suoi amati libri francesi: Balzac, Maupassant e Stendhal, «romanzetti popolari che le davano l'illusione di capire sua madre [...] letti d'un fiato al lume da notte, di nascosto, con la testa infilata sotto il cuscino».


Poi la fuga, quando gli zar cominciarono a essere perseguitati e il padre fu costretto all'esilio per scampare alla morte.


I lunghi viaggi travestiti da contadini cominciarono quando Irène non aveva che dieci anni. Con i gioielli di Anna nascosti sotto gli orli dei vestiti, passando per mari in burrasca e terre straniere, i Némirovsky furono costretti ad abbandonare il territorio russo e trovare scampo in Francia.


Leonid divenne Leon, Anna divenne Fanny e Irina Irène. Nel frattempo, Irène aveva già cominciato a cimentarsi nella scrittura, un altro metodo per analizzare ciò che le accadeva attorno, per guardare dritto verso la realtà dei fatti, e ancora per sottrarsi dalla solitudine con cui trascorreva il tempo da quando era nata. Su grossi quaderni scriveva con metodo febbrile e una calligrafia minuscola, mentre ricostruiva le storie dei suoi personaggi prima ancora di mettersi a scrivere.


Anche il padre, seppur amato nel profondo, non venne risparmiato dal diventare personaggio nei testi di Irène. In modo particolare suo è l'alter ego di David Golder, il banchiere ebreo che comprava l'amore della moglie con fiumi di denaro e indifferenza a profusione, ma dietro cui si nascondeva un uomo d'animo. Eppure, oltre che un romanzo ben congegnato, David Golder è la testimonianza di un vivere comune, di uno sfarzoso stile di vita riservato ai ricchi ebrei borghesi. Per questo, la scrittura di Iréne Némirovsky è prima di tutto una scrittura che mira a salvaguardare la memoria: non solo privata, ma collettiva, testimonianza di anni bui e persecuzioni ingiustificate. Così accade anche in Suite francese il romanzo incompleto che racconta l'occupazione tedesca, che a prima lettura si impone come una storia d'amore, ma che tra le righe si fa espressamente testimone di un'epoca tormentata, vissuta in prima persona.


Solo in Francia, Irène potè forse trovare un po' della pace di cui era in cerca.

Venne sistemata in un'abitazione indipendente che la sottraeva alla vicinanza della madre ostile, e che le permise di condurre per qualche anno una vita sregolata, libera dalle regole e dai pregiudizi della madre, prima di arrivare al matrimonio con Michel Epstein (1926), a cui donerà anima e corpo.


Il 1926 è stato un anno fondamentale per Irène autrice perché le portò la pubblicazione del suo primo romanzo breve, Il malinteso, a cui appunto fece seguito David Golder – testo legato a una vicenda editoriale molto particolare. Il successo fu immediato, e nonostante qualcuno ritrovasse nella crudezza dei suoi personaggi un antisemitismo malcelato, sarà il tempo a dar ragione alle buone intenzioni di Irène Némirovsky. A David Golder seguirono poi gli intensi anni dedicati alla scrittura: basti pensare che tra il 1935 e il 1942, Némirovsky compose almeno 9 romanzi. Ma erano tempi bui, e difficilmente Irène riuscì a trovare editore che si prendesse la briga di pubblicare libri composti da un'ebrea. Quando riuscì pubblicò le sue opere sotto pseudonimo, ma non abbandonò mai la scrittura e continuò a scrivere fino alla sua triste scomparsa.


La triste fine di Irène Nemirovsky e di suo marito è probabilmente nota ai più: nonostante i tentativi e le conoscenze della coppia, a entrambi fu negata la cittadinanza francese e imposto il campo di concentramento.


Nei campi di sterminio, nonostante Michel tentò di salvarla in ogni modo, Irène morì di tifo. Solo le due figlie, Denise ed Élisabeth riuscirono a mettersi in salvo dalla deportazione. E a loro, oggi, dobbiamo il riconoscimento di aver messo in salvo i manoscritti della madre e alcuni testi rimasti fino ad allora ancora inediti.


È il 17 luglio 1942, e il convoglio in questione è il sesto a lasciare la Francia. I suoi novecentotto passeggeri non hanno chiesto di partire, sono senza biglietto e hanno con sé solo una valigia e qualche oggetto personale. Non sanno dove sono diretti e i loro congiunti sono completamente all'oscuro della loro partenza. O. Philipponnant, P. Liendhardt, La vita di Irène Némirovsky, Adelphi, Milano 2009 (p. 24)
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