Le voci della sera viene pubblicato in Italia, con grande accoglienza di critica, nel 1961.
Allora, Natalia Ginzburg vive ormai da un anno a Londra, insieme al suo secondo marito, Gabriele Baldini. Mentre si divide tra la traduzione di Ivy Compton-Burnett e Harold Pinter, fatica a procedere nel lavoro. Nelle scuse, all'interno dei carteggi con il suo editore Einaudi, Ginzburg ammette di lavorare «a scatti» perché è impegnata nella scrittura di altre cose. Una scrittura che come al solito si dimostra intima, viscerale, che si esprime nelle Voci della sera attraverso la narrazione del rapporto tra Ginzburg e il mondo che la circonda.
La stesura delle Voci della sera, dopo una pausa dalla scrittura che va avanti da cinque anni, la coglie nel silenzio della composizione. Eppure, come si ricava dal manoscritto originale di questa storia familiare, Natalia Ginzburg non impiega oltre ventiquattro giorni per arrivare alla fine della storia, come se avesse sentito la necessità di raccontarla.
Quando in redazione ricevono l'ultimo lavoro di Natalia Ginzburg, tutti ne sono entusiasti: Calvino ne canta le lodi, Moravia la supporta nella prima presentazione a Roma e insieme a Vittorini la propone allo Strega.
Ma prima della pubblicazione, nelle comunicazioni con Einaudi, numerosi sono i riferimenti alle proprie ambizioni in opposizione al destino che l'editore desidera per Le voci della sera. Vittorini la pubblica all'interno della sua collana dei Super Coralli, dedicata alle voci già affermate e imperdibili nel panorama letterario; le chiede di fornirle dei testi per una raccolta che solo in seguito diventerà Cinque romanzi brevi, perché allora Ginzburg non è affatto d'accordo. Natalia vuole che Le voci della sera siano stampate in unico volume. Senza nessun altro racconto, nonostante la lunghezza non superi le cento pagine.
D'altro canto, l'urgenza e il rilievo che Ginzburg dà a quel suo nuovo romanzo è incisa sulle prime pagine delle Voci.
In questo racconto i luoghi, e i personaggi, sono immaginari. Gli uni non si trovano sulla carta geografica, gli altri non vivono, né sono mai vissuti, in nessuna parte del mondo. E mi dispiace dirlo, avendoli amati come fossero veri. Ginzburg N., Le voci della sera, Einaudi, Torino 2013
Poiché se nero su bianco le sue dichiarazioni negano un senso di autobiografismo in quei racconti, l'ambientazione è quella delle terre piemontesi, e i personaggi non possono che far parte di una borghesia che Ginzburg ha conosciuto.
C'è di più: la fabbrica attorno a cui si intrecciano tutte le vicende, potrebbe trarre ispirazione dall'Olivetti, famiglia con cui Ginzburg era imparentata. Persino dietro i personaggi e le emozioni che provano, non può che riconoscersi l'animo tormentato di una Ginzburg che non sa darsi pace. Tuttavia, anche queste non possono che ritenersi supposizioni... oppure riferimenti reali da cui Natalia Ginzburg parte per costruire il suo romanzo.
La protagonista del breve romanzo è Elsa, l'io-narrante dell'intera storia che procurò a Ginzburg il Premio Strega nel 1963; una donna giovane, ma non abbastanza affinché la sua libertà possa essere considerata ancora in linea con i suoi anni. Elsa, cresciuta sotto il controllo di una madre severa e autoritaria, con cui non esiste alcun dialogo reale; figlia di un notaio della fabbrica di stoffe dei De Francisci, ha sempre vissuto in aperta campagna, aderendo a una vita che non è quella che vorrebbe. Sorella di una donna sposata all'estero, e di un fratello emigrato in Venezuela, Elsa vive una vita solitaria, che è quella che vorrebbero gli altri; condotta al margine, sempre pronta a soddisfare gli altrui egoismi, senza mai aver un attimo di volontà per rendere contenta se stessa.
Sono i personaggi dunque ad avere il primo posto anche nelle Voci della sera. Le storie sono essenziali, l'intreccio povero: si potrebbe quasi dire, che prima delle ultime trenta pagine succede poco, o quasi niente.
Ma è un niente attraversato di verità, un niente che si fa portavoce della vita dei tempi, della crudeltà di dover a tutti i costi appartenere a un modus operandi, un modo di comportarsi e di aderire alla società. Una condizione che è sempre stata stretta a Natalia Ginzburg, fin dal suo primo romanzo, pubblicato sotto lo pseudonimo di Alessandra Torimparte, La strada che va in città.
Attorno alla famiglia di Elsa ruotano le vite di molti altri personaggi: quelle dei Bottiglia, e delle loro figlie maggiori, che ormai cresciute continuano a essere chiamate bambine. Ma in particolare quelle dei Balotta, soprannome con cui sono conosciuti i padroni della fabbrica di stoffe, e a cui il destino della famiglia di Elsa s'intreccerà definitivamente.
Famiglia sventurata, soprattutto in amore, quella dei Balotta; una famiglia socialista di valore, onorata dalla partigiana Raffaella e dall'esule Gemmina in Svizzera, ma per certo sfortunata. Sfortunato l'amore tra Vicenzino e sua moglie, che mentre tradirà suo marito mal sopporterà l'indifferenza di lui davanti al fatto. Sfortunato il Purillo, orfano di genitori, che nella fortuna viene cresciuto dai Balotta, ma che sarà da tutti sempre detestato, in primis dalla signora Balotta, come avrà a dire Calvino «infelice nell'essere il più facilmente felice di tutti».
Ma il più sfortunato è di sicuro l'amore che divampa tra Elsa e il Tommasino, un giovane Balotta ancora in collegio.
Il loro amore comincia di nascosto, si sposta nella città nascondendosi dalle voci delle campagne. Eppure la maggior parte delle persone sa di loro, dei loro incontri bisettimanali, e specialmente la zia Ottavia, che osserva Elsa mentre da lontano, tutte le sere, fissa la proprietà dei Balotta, domandandosi dove si trovi il suo innamorato. Avvertita fin dall'esordio, Elsa non vuole ascoltare le parole del Tommasino; poco le interessa che lui non la sposerà mai, perché nel matrimonio non ci crede. L'unica cosa che le interessa è essere felice nel tempo che si incontrano: questo le basta. E la felicità dipende dal non farsi domande; da preoccuparsi meno di ciò che vorrebbe per sé e più per ciò che gli altri vogliono da lei.
Eppure a quell'amore, arriva il tempo che anche Elsa ci crede. Ci crede sua madre, sollevata a vederla finalmente appiata a qualcuno come un paio di calze; suo padre, nonostante non si curi troppo di quella relazione. Ci credono tutti, tanto che alla fine anche Tommasino è costretto a credere di poter essere un marito, uno sposo e il matrimonio viene organizzato. Ma sfortunata sarà anche la fine della loro storia, e in così tanta sfortuna, ciò che emerge è una sfrontata realtà. Un'aderenza fedele alla vita della borghesia, ai loro destini tutti uguali, ai doveri nei confronti di una società che hanno innalzato le persone venute prima di loro.
La scrittura di Natalia Ginzburg si asciuga più che mai nelle Voci della sera.
Descrizioni brevissime e dialoghi fittissimi compongono le pagine del romanzo Premio Strega di Natalia Ginzburg. Eppure, nonostante i dialoghi, i personaggi della storia sembrano non dirsi niente: esprimono parole, concetti, ideali – spesso li negano – ma non comunicano tra loro: non riescono a farlo. Le voci della sera è un libro intriso dalla malinconia, peculiare di Ginzburg, abitato da personaggi che hanno «sotterrato» i propri pensieri, che hanno smesso proprio di pensare, per modellarsi a misura della società che li ha partoriti.
Fedele sempre a se stessa, a Ginzburg delle prime opere e di quelle che seguiranno alle Voci della sera, Natalia si conferma essere non tanto la scrittrice di romanzi architettati e progettati nei minimi dettagli, quanto la narratrice dei sentimenti umani e della psicologia. E se in Sagittario, si poteva dire di aver trovato la versione più matura di Natalia Ginzburg, nel 1961 Le voci della sera rimette in discussione tutto ciò che fino ad allora era stato detto dell'autrice. Natalia Ginzburg non era brava: era molto di più.