La prima volta che Le braci vide la luce correva il 1942. Il romanzo più famoso di Sándor Márai uscì prima a Budapest, in poco tempo venne tradotto in tedesco, ma non ottenne subito il successo che l’autore si aspettava.
La sua opera, infatti, bandita dall’Ungheria per decenni è tornata in primo piano solo negli ultimi vent’anni. Eppure, dal momento in cui abbiamo riscoperto Sándor Márai nessun lettore che lo abbia incontrato si è sottratto al piacere di suggerirlo ad altri lettori. Sarà forse per l’innata capacità narrativa e stilistica di Sándor Márai, oppure, a ragion veduta, per la grande storia che raccontano Le braci.
Una storia d’amicizia e d’amore, di fedeltà e tradimenti: la storia di due amici che per tutta la vita attendono di rincontrarsi.
La storia delle Braci è ambientata nel 1940, in un sontuoso castello ai piedi dei Carpazi. Lì, da quarantuno anni, Henrik aspetta il ritorno del suo migliore amico, Konrad: a dividerli è rimasto un solo grandissimo segreto, noto solamente a loro.
Henrik è il figlio della Guardia reale ed è diventato il generale dell’esercito dopo aver fatto carriera militare. Nelle spoglie stanze del castello in cui è arroccato – pressoché intatte dal giorno in cui i due amici si sono salutati – Henrik si abbandona a trascorrere giornate tutte uguali.
Superati i settant’anni, l’unico suo desiderio è quello di potersi riconciliare all’unico amico che egli abbia avuto. Si tratta di Konrad, il giovane figlio di un povero barone che aveva stretto amicizia con lui. Insieme trascorrono l’adolescenza in un collegio militare a Vienna e stabiliscono tra di loro un’intesa che va oltre i limiti e le convenzioni. Tuttavia, quarant’anni prima rispetto all’esordio del romanzo, i due amici si separano. Il primo, infatti è più portato a servire lo Stato – anche per la propria nascita; il secondo, invece, è confortato dalla musica e sogna di diventare un musicista, e per questo – o almeno così sembrano le cose – abbandona Vienna per i Tropici.
Ma quando Nini, la cameriera che da sempre si è presa cura di Henrik, quarantuno anni dopo lo avvisa che c’è una lettera per lui, egli sente che è finalmente arrivato quel momento che entrambi aspettano. Le chiede di preparare la tavola e di allestire la sala da pranzo – proprio quella in cui avevano cenato per l’ultima volta insieme, con la compagnia di Krisztina, l’ormai defunta moglie del nobile.
Ma qual è il segreto che entrambi celano dentro di loro? Che cos’è stato in grado di tenerli vicini anche lontani, anche dopo essersi traditi vicendevolmente? Di che cosa devono parlare dopo tutto quel tempo? Quali conti sono rimasti in sospeso?
Le braci di Sándor Márai ha un ritmo incalzante ma non è un thriller, e nemmeno un giallo. È un romanzo, un romanzo che sa fornire al lettore i dettagli di cui ha bisogno dosandoli con il contagocce e che conduce all’ultima pagina, paragrafo dopo paragrafo, in una climax crescente, destando stupore.
È un libro sulla memoria, la memoria di un ardore trasformatasi ormai in tiepide braci; un legame rovinato, che davanti al tradimento si domanda fino a che punto quel sentimento può essere alterato se privato dei suoi fondamenti: il perdono e l’altruismo. Può esistere amicizia senza perdono, senza comprensione, senza aver nulla in cambio? Fino a che punto è amicizia quella che spinge Henrik a perdonare la fuga di Konrad? E in quale misura la fuga fa parte di quel sentimento?
L’amicizia, così come l’amore, non dovrebbe essere pura e solida al di là delle attitudini, dei comportamenti, delle comunanze dei singoli? Questo è quello che crede Henrik nelle Braci, ma è anche ciò che lo lascia lì, immobile nei suoi pensieri, ad aspettare il ritorno del suo amico. Non per condannarlo, né per aver spiegazione a due dubbi che lo travolgono da quando se n’è andato; forse, lo attende per la sola ragione di non potersi sottrarre a un’affinità sincera che esiste tra loro.
Le braci è un libro sulla memoria. La memoria di un’amicizia che si conserva dentro entrambi i protagonisti, ma che invero pare essersi conclusa per sempre. La memoria come ragione di sopravvivenza alle proprie menzogne, ma anche a quelle in cui ci rinchiude il mondo stesso. Perché per Henrik, il protagonista del romanzo, i fatti non raccontano niente della verità: i fatti, le azioni, spesso sono le conseguenze di ciò che si prova, di ciò che si patisce, di ciò che potrebbe giustificarci. Ma la verità non sono i fatti, e allora: per conoscere la verità, a Henrik non resta che attendere che il suo ospite risponda a due sole domande. Solo così egli potrà capire che cosa è successo quarant’anni prima: conoscere le intenzioni dietro le azioni.
Con una tecnica narrativa impeccabile, uno stile poetico e ricercato, in un romanzo scarno di personaggio ma che ha la potenza di un monologo teatrale, Sándor Márai ci consegna un perfetto esemplare della letteratura ceca del primo Novecento. Un libro che tutti dovrebbero aver letto e consigliato almeno una volta.