Pubblicato in Italia nel 2006 dalla casa editrice Adelphi, L’eredità di Eszter è uno dei testi più amati dello scrittore ungherese Sándor Márai. Divenuto immediatamente noto al pubblico nel 1939, racconta una storia d’amore e devozione – e i sentimenti, come Sándor Márai ci ha abituato, raggiungono un olimpo dove ogni altro elemento narrativo perde d’importanza.
Non so che cosa mi riservi ancora il Signore. Ma prima di morire voglio narrare la storia del giorno in cui Lajos venne per l’ultima volta a trovarmi e mi spogliò di tutti i miei beni. Marai S., L’eredità di Eszter, Adelphi, Milano 2006 (p. 9)
Esordisce così la protagonista assoluta di un centinaio di pagine che si susseguono in un crescendo di emozioni e tensione. Eszter ha trascorso vent’anni in attesa che l’unico uomo che abbia amato in vita sua faccia ritorno da lei. Ma in verità, più che nella speranza del ritorno, le attese di Eszter si congelano nell’impossibilità di poter vivere una vita dimentica di quel grande amore che non ha mai abbandonato.
Questo Eszter lo sa bene, e appena le viene notificato che Lajos farà ritorno – seppur conscia che torni solo per domandar qualcosa, non può che gioirne.
Eszter e Lajos, durante la giovinezza, hanno condiviso momenti d’amore indimenticabili; tuttavia, è stato Lajos a tradire il suo amore, e a sposarsi infine con la sorella di Eszter, Vilma – ormai defunta all’esordio del libro. Ma da allora, sono trascorsi vent’anni, e Eszter non ha mai dovuto cercare la forza per perdonarlo, perché per tutto quel tempo non ha smesso di amarlo. E quando si ama con l’intensità con cui l’ha fatto Eszter, le colpe, le sofferenze e i tradimenti non contano più davanti alla potenza dei sentimenti.
Ma che cosa potrà mai volere ancora Lajos da Eszter? Oramai l’ha privata di tutte le sue ricchezze, ma non solo. Lajos non ha risparmiato Eszter dalla sottrazione della pazienza, della bontà: lui si è impossessato del suo cuore, e con i suoi ragazzi cresciuti di vent’anni, facendo ritorno nella villa è pronto a richiedere ciò che gli spetta.
Una lettera annuncia il ritorno di Lajos: egli scrive al plurale e lo fa come se dall’ultima volta in cui è partito non sia trascorso tutto il tempo che è passato.
Ma come può Eszter essere cieca e non ricordare tutto il dolore che Lajos le ha procurato? Per tutto quel tempo è stato l’amore a tenerla in vita. A niente è servito che questi si sia rivelato un astuto calcolatore, un imbroglione, e che tutto il paese aspetti il ritorno per richiedergli il saldo di debiti che ha contratto con tutti. Tanto che appena giunto, le genti del paese si affollano davanti al portone di casa loro.
Ma Eszter è completamente rapita: e devota come una madre al proprio figlio, più di una monaca al proprio Signore, sarebbe in grado di difenderlo anche davanti alle accuse più spietate. Lajos non ha perso le sue caratteristiche di ammaliatore, è abile manipolatore di sentimenti, e con la stessa disinvoltura con cui mente, mette in scena le pantomime più commoventi. Tuttavia, egli è appunto un grande seduttore, e tutte le persone che ha incontrato in vita sua, di volta in volta, gli sono cadute ai piedi. Pronte ad assecondare i suoi desideri, anche quelli più assurdi – nel tentativo di giustificarlo col solo pretesto che le azioni non coincidano con le intenzioni – l’aurea che circonda Lajos è manifesta a tutti coloro che vi entrano in contatto.
E se quella speranza di Eszter, che il suo ritorno possa riportarle ciò che il destino le ha tolto, egli invero non torna per restare ma per portarle l’ultimo conto fatale. Ma che cosa vorrà ancora Lajos da lei? Che cosa si è messo in testa? E a che cosa allude quella bambina capricciosa, che con tono quasi minaccioso dice a Eszter che avranno il tempo di conoscersi a fondo?
Tradotta abilmente da Marinella D’Alessandro, la storia dell’Eredità di Eszter può sembrare uguale a qualsiasi storia d’amore fondata sull’attesa del ritorno.
In verità è totalmente diversa da qualsiasi altra cosa io abbia mai letto finora: scritta come un lunghissimo monologo, L’eredità di Eszter non è altro che una lettera che la protagonista scrive per esplicare il dolore e il tormento che in vita sua ha sofferto per non essere in grado di sottrarsi allo strazio dell’amore desolato.
È il valore emotivo di questo libro ad accrescere il valore della storia. Così come ha fatto nelle Braci, sono le emozioni e i sentimenti i veri protagonisti del racconto. Sono la speranza e l’amore di Eszter; il senso di protezione e la moralità della governante Nuna; l’ostilità e l’ipocrisia di Lajos; il perdono di Tibor, la perseveranza e l’orgoglio di Endre; la reticenza del fratello di Eszter, nonché vecchio amico di Lajos, Laci.
Con un’eleganza stilistica propria di Márai, l’autore ci racconta una storia che arriva in maniera immediata, e nel farlo ci dà prova della sua innata capacità di offrire sempre un inedito punto di vista, in cui il giudizio del lettore può trovarsi incagliato. Intrappolato tra il senso di protezione e di compatimento che si prova per Eszter, e al limite dell’essere sedotto dal più ingiusto seduttore di tutti i tempi.