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Immagine del redattoreAldostefano Marino

Maria Giudice, Maria Rosa Cutrufelli

Aggiornamento: 13 apr 2022

Si intitola Maria Giudice, La leonessa del socialismo la terza pubblicazione della collana Mosche d'oro, diretta da Giulia Caminito, Viola Lo Moro e Nadia Terranova.


La collana dell'editore Giulio Perrone intende portar luce sulle biografie di grandi donne che hanno fatto la Storia, attraverso la penna di scrittrici contemporanee. Storie di figure femminili dimenticate, o talvolta ricordate in modi fuorvianti o marginali, che fanno capolino in agili libriccini pregiati, il cui progetto grafico, come sempre, è affidato a Maurizio Ceccato.


Dopo Jeanne Moreau e Lisa Morpurgo è il turno di Maria Giudice, pacifista, sincera sindacalista, esploratrice incarcerata più e più volte, che mai smise di combattere per la pace e per l'uguaglianza.

Ma prima di tutto è bene ricordarla come la madre di una grande scrittrice del Novecento, riscoperta solo di recente attraverso la pubblicazione negli anni Ottanta dell'Arte della gioia, Goliarda Sapienza. Ed è proprio da un ricordo, una cena condivisa con Goliarda Sapienza e altre scrittrici, che Maria Rosa Cutrufelli fa partire la sua indagine, attorno a una figura significativa, quella della madre dell'autrice: importante non solo per il destino e il riconoscimento delle donne, ma specie per la sua idea di pace, di libertà, e per il riconoscimento dei diritti che spettano a ogni essere vivente. Già a questo punto, l'intento dietro la pubblicazione di questa biografia è lodevole: non fosse altro per rendere il dovuto onore a un'opera di Goliarda Sapienza che non vide mai la luce, dedicata ai suoi genitori, Amore sotto il fascismo.


Parte da qui il racconto storico e personale di Maria Giudice, restituito attraverso le testimonianze della figlia, e tramite una ricerca di testi, documenti inediti e vecchi giornali, che rendono giustizia a una donna che è stata protagonista della politica italiana tra le due guerre che hanno devastato il mondo.


È questa la storia di Maria Giudice, una donna dallo sguardo espressivo, di cui sono conservate pochissime fotografie, che amava scrivere, soprattutto articoli, riflessioni filosofiche e testi politici, e che talvolta si abbandonava al puro piacere della scrittura. Ed è quindi anche la storia del tramandarsi di una passione, quella per la letteratura e per la poesia, ereditata da sua madre Ernesta, e trasmessa poi alla figlia Goliarda, che saprà trovare nelle parole l'arma più forte per combattere e dimostrare la propria ostilità alle ingiustizie sociali.


Nata nel 1880, mentre da sua madre Ernesta conosce il potere della letteratura, è attraverso il padre Ernesto che si fa forte in lei un senso morale attorno all'urgenza di un'azione politica. Sono dunque due insegnamenti diversi quelli dei suoi genitori, ma che entrambi virano verso una necessità comune, propria poi anche di tutta l'azione politica di Giudice: l'importanza dell'istruzione.


Maria Giudice fu studentessa e poi maestra alle prime scuole Normali, sindacalista attenta sempre alla propria coerenza: in vita sua viaggiò a lungo, tenne a gran voce comizi nelle maggiori piazze d'Italia, soggiornò in numerosi carceri per le sue idee rivoluzionarie, e non smise mai, se non in difesa dei propri figli, di far sentire forte la propria voce.


Ella fu infatti madre di dieci figli e figlie, a cui Giudice fece dono della libertà: non intervenne mai nelle loro volontà, poiché prima di tutto riconosceva che i figli non dovessero essero concepiti come proiezione dei propri desideri e volontà. L'ultima tra i dieci, fu proprio Goliarda Sapienza. E nonostante tutti quei figli, e almeno due unioni più importanti, mai si convinse a sposarsi con gli uomini con cui si accompagnava, poiché il sentimento dell'amore, intimo e privato, non si traduceva in qualcosa da ufficializzare, in un contratto che prevedesse i termini e le condizioni entro cui la donna apparteneva al marito con cui lo sottoscriveva.


Fu soprattutto una donna sempre vicino agli umili, ai poveri e ai lavoratori: è per loro, in virtù dei diritti che spettano alla misera gente, che Maria Giudice dà il via alle proprie battaglie, sempre intente a incoraggiare le donne, a spronarle a pretendere di più, anche quando, troppo impegnate e schiacciate sotto il peso dei loro ruoli, erano le prime a dirsi disinteressate a raggiungere, per esempio, l'estensione del diritto di voto.


Gli intenti dell'opera scritta da Maria Rosa Cutrufelli appaiono evidenti in tutta la loro potenza.


Maria Giudice, La leonessa del socialismo non si esaurisce nell'offerta compiuta verso i lettori e le lettrici di fornire un ritratto esaustivo su una donna che ha sempre combattuto (con le mani libere dalle armi e dalla violenza) per i diritti umani.


È la rappresentazione e la narrazione di un momento storico che ha segnato il nostro paese e il mondo intero, della nascita del socialismo, di quella divisione che a un certo punto si compie all'interno dello stesso movimento, che da una parte vede gli interventisti più accaniti, e dall'altra un solo e unico credo: sempre e solo la pace. La sua voce si fa testimone dell'avvento del fascismo, del voltafaccia compiuto da Mussolini nei confronti della purezza del socialismo; degli esordi del comunismo. E come sul fatto che non esista violenza che si porti avanti in nome della Pace, su una cosa Maria Giudice non cambierà mai idea: che la guerra, di qualunque tipo essa sia, sempre sarà una guerra civile. Una guerra compiuta a discapito dei più poveri, dei meno considerati, e quindi anche delle donne, delle loro figlie alle quali lo studio era precluso. Tanto che, non appena il primo marito lascerà il nido famigliare per recarsi a combattere in guerra, i loro rapporti tenderanno verso uno sgretolamento del tutto coerente alle idee di Maria Giudice.


Allora, Maria Rosa Cutrufelli e Maria Giudice si fanno il tramite attraverso cui narrare tutte le donne. In primis Goliarda Sapienza, scrittrice dimenticata che a mano a mano viene riscoperta, e i cui testi si fanno continuatori di un'idea e di una coerenza materna: quel senso di frustrazione e soprattutto di rabbia che accompagna l'impotenza e la non considerazione delle donne. E poi di tutte quelle donne chiamate a comportarsi in un certo modo, delle giovani che dopo le scuole elementari si trovano smarrite e senza istruizione, spesso escluse dal dibattito culturale e sociale – come se di quella società non fossero altro che belle statudine di cui farsi vanto come conquiste maschili – , a cui Maria Giudice per tutta la vita ha rivolto le sue attenzioni e su cui ha fondato le proprie battaglie.


Una prosa asciutta, fondata sulle fonti storiche e documentaristiche, immediata ma non per questo poco poetica. Un libro che non può sfuggire a tutti coloro che hanno letto e amato le lotte di Goliarda Sapienza e a coloro che, seppur non conoscono né Goliarda né Maria, si impegnano concretamente a rendere il mondo in cui abitiamo un luogo libero, dove nessun individuo viene prima di un altro.








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