Le intenzioni della poetica di Cesare Pavese appaiono lampanti fin dal titolo del suo esordio, Paesi tuoi. Pubblicata per la prima volta dalla casa editrice torinese Einaudi, nel 1941, l'opera porta con sé i temi e i termini entro cui orbiteranno le successive opere pavesiane, primo fra tutti il confronto tra la città e la campagna.
Un confronto che non intacca la lingua dei personaggi (tutti parlano la stessa lingua, un torinese italianizzato), né si fa carico di delineare, fisicamente, l'opposizione dei due luoghi.
La città è un retaggio, qualcosa la cui presenza aleggia tra le pagine; il posto da cui proviene il narratore omodiegetico, Berto, che di queste pagine ne è anche il protagonista. Tuttavia, essa non viene descritta nella sua integrità, piuttosto è portata in scena da Berto, dalle sue idee, dal naturale confronto che scaturisce dall'arrivo dei due ex-detenuti nelle campagne piemontesi.
Berto e Talino hanno condiviso la cella per un mese. Il primo è un meccanico torinese, condannato alla prigione «per aver schiacciato un ciclista»; il secondo è stato accusato di aver incendiato una casa, liberato per mancanza di prove.
Nel momento in cui abbandonano le carceri, Talino cerca di convincere Berto ad andare con lui al paese, a Monticello, dove avrebbe potuto trovare anche per sé lavoro di che sfamarsi, in vista dell'imminente stagione della mietitura.
Nonostante Berto non sia affatto convinto della proposta, abituato com'è alle incertezze della strada, egli tenterà di seminare l'ormai ex compagno carcerario, convincendosi solo dopo un po' ad andare con lui fino alle campagne.
In questa direzione, gioca un ruolo predominante il passato di Berto: il macchinista non ha più posto in cui tornare. Difatti anche il ritorno è concepito come un tema cardine dell'opera pavesiana, centrale non solo all'interno di Paesi tuoi, ma in tutte i suoi testi consacrati all'Olimpo della Letteratura. La possibilità del ritorno concepita come unico scampo per l'essere umano: se non si ha più un luogo dove rientrare, nessuna partenza ha più senso, e allora, tanto vale che Berto vada a cercare lavoro in terre in cui non è mai stato.
Sempre Berto, in realtà, non conosce le vere ragioni dietro cui è formulata l'opera di convincimento di Talino – che teme di dover scontare in Paese, la vendetta dell'uomo a cui aveva incendiato casa per una gelosia latente verso la propria sorella, Gisella.
La città di Torino, dichiarata ma affatto riconoscibile, è il luogo da cui prende il via Paesi tuoi; la descrizione dei suoi spazi non è presente tra le pagine del romanzo – che si limitano a tratteggiare, invece, pochi luoghi comuni e non riconoscibili, quali una fontana, una grande piazza, un bar dove si gioca con le slot-machine.
Tuttavia, l'ambientazione cittadina dell'esordio pone le basi per una ulteriore riflessione di cui si fa portavoce l'intreccio di Pavese e dei suoi Paesi. Perché la sconfinata natura, aggressiva, ribelle e maestosa, l'inciviltà delle sue genti misogine, è la stessa in cui l'autore è cresciuto, quella delle Langhe, delle campagne cuneesi.
La città di Torino, invece, dove Pavese ha trascorso gran parte della sua vita, a partire dalle scuole elementari (e dove poi ha abbracciato la filosofia dei massimi esponenti del Liceo D'Azeglio), diviene la patria dell'amor libero e dell'emancipazione. È come se, in questo binomio di opposti tra la campagna e la città, entrambi i luoghi facciano parte di un mondo che da un lato si alimenta delle proprie tradizioni, e dall'altro ne prende con vigore le distanze.
Monticello, invece, – e persino il lungo viaggio in treno che da Torino li riconduce al Paese – è perfettamente riconoscibile.
Il contrasto tra la campagna e la città non è esplicito, se non nelle riflessioni personali del narratore, Berto. Pratica che, verso la metà del Novecento andò sempre più affermandosi, fino a costruire un nuovo modo di narrare, che mira a raccontare e narrare l'interiorità propria dei personaggi a discapito dei luoghi in cui si muovono.
Il primo credo di Berto non appena arriva nella cascina dei Vinverra, è che quella terra di libertà, dove la giustizia segue un corso tutto particolare, è per certo inferiore a quella da cui proviene. Berto rimane interdetto dalla rudezza dei Vinverra, dai bruschi modi di fare del capo famiglia, che non ha alcuna considerazione per le donne sue parenti, e ancor meno per le donne in generale. Monticello (e metaforicamente la vita paesana tutta) è in sostanza un luogo in cui il patriarcato trionfa e la giustizia segue regole proprie; e dove, tanto le donne quanto la loro considerazione, son del tutto marginali.
Monticello è il posto in cui il lavoro viene prima di qualsiasi cosa, perché anche nel momento in cui la delicatezza e l'ilarità dell'intreccio vengono meno per far spazio al dolore e all'ingiustizia, il guadagno rimane l'unica cosa che conta. Così come, l'unica cosa che conta di quel mese trascorso in carcere da parte di Talino, è che egli abbia dovuto assentarsi dal lavoro e rischiasse di non tornare per tempo per la mietitura. Tanto che, proprio il lavoro, è in grado di oscurare le vere colpe di Talino – ben più gravi dell'incendio doloso di cui è stato accusato – che diventeranno note solamente con l'avanzare dell'intreccio.
È il lavoro, insieme alle credenze e al rispetto del sacro – a discapito della giustizia umana – su cui si fonda la vita delle persone che popolano il racconto.
Tutto si compie attorno al lavoro. Perfino la cadenza, la rapidità delle giornate, l'organizzazione del tempo libero sono scanditi solo in funzione a esso; tanto che anche la sacralità, così rispettata e osservata dagli abitanti di Monticello, giunge in secondo piano quando la domenica si salta la messa per restare al lavoro.
E se non si può far a meno di percepire per tutto il corso della narrazione il ruolo di primo piano del lavoro, allo stesso modo non ci si può sottrarre al ricorrente tema del sesso e della sessualità.
Il sesso è tema e nucleo centrale fin dal pomeriggio trascorso a Torino (tema che tornera nella Spiaggia, e in particolare nella Bella Estate) dove per ammazzare il tempo prima di partire, Berto incontra Michela – compagna di un suo amico ancora detenuto; mentre Talino va in cerca di quei luoghi cittadini dove si possono incontrare direttamente le donne del mestiere.
Il sesso è allora il primo approdo felice dei due ex-detenuti, la prima gioia a cui si ambisce una volta riottenuta la libertà. A esso, Berto e Talino, tendono anche nel lungo viaggio in treno che li condurrà al Paese, posto proprio tra due colline che a guardarle sembrano due mammelle.
Ma la natura sessuale è implicita in ogni essere umano: per le donne di Monticello come un dovere a cui non possono sottrarsi – ora per discendenza e ora come rimedio alla povertà –; mentre per gli uomini, e forse solo per loro, come un piacere liberatorio, una ulteriore occasione concessa loro per esercitare il controllo sulle donne.
All'arrivo, sùbito, ad attirare i pensieri di Berto è ciò che sente ogni volta che il suo sguardo si incrocia con Gisella: solo l'attrazione che comincia a provare per lei rimette in discussione quel desiderio di tornarsene a casa; di abbandonare la vita del paese con cui pensa di non avere niente a che fare. Ma quell'attrazione di Berto, per niente assomiglia a quella fisica e orgogliosa che ha condotto Talino in una cella a scontare la propria pena; e tantomeno quella che, nell'epilogo, trasforma la commedia dei Paesi tuoi in una tragedia.
Se per Berto il sesso rappresenta una via di scampo, egli da cittadino fine – opposto alla grettezza contadina – arriva quasi a rimettere in discussione il proprio viaggio di ritorno.
A farsi casa per Berto, o paese in cui tornare, è l'amore per Gisella Vinverra. Un amore meno violento, più sublimato; un amore in grado di dar conforto, non solo come mezzo per alleggerire le proprie giornate, così come è concepito, per esempio, dal padre-padrone dei Vinverra: come uno sfogo, qualcosa su cui riversare le proprie ire e gli insuccessi di una giornata trascorsa a lavorare.
Un sentimento che, in qualsiasi modo si voglia leggere Paesi tuoi, diventa l'approdo degli erranti, la dimora della vita e il trionfo dell'equità, e anche quando Pavese ne accentua il modo sbagliato di viverlo non è altro che una vita dell'autore di sbatterci in faccia la realtà. Nessun posto senza amore si fa posto in cui tornare.