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  • Immagine del redattoreAldostefano Marino

Rimbaud. La vita assente di un poeta dalle suole di vento, Renato Minore

Aggiornamento: 13 mar 2023

Che dietro l’immagine di Arthur Rimbaud – il poeta infante, il poeta prodigio, il poeta maledetto – ci sia molto più di quanto ci è dato sapere, sembra essere il presupposto di partenza per tutto ciò che lo riguarda.

Infatti non è possibile tracciare un percorso, una evoluzione onesta, coerente, dall’inizio alla fine, nella vita di Arthur Rimbaud. Pare invece che tutti i miti e le convinzioni, spesso avverse e contrastanti, contribuiscano ad accrescere la fama dell’infante prodigio. Tuttavia, attraverso il lavoro di studiosi e biografi come Renato Minore, la storia di Rimbaud può quanto meno avvicinarsi al reale.


Ma se lo scritto di Minore, Rimbaud. La vita assente di un poeta dalle suole di vento (Bompiani, 2019) – Premio Campiello, Selezione Giuria dei Letterati – pare, nel suo essere enigmatico e procedere a salti tematici, voler accentuare l’enigma e il mistero attorno alla figura del poeta e render tutto poco chiaro, appare invero assai utile per scoprire Rimbaud e per avviare il lettore alla scoperta di un poeta prodigio.


Il 20 ottobre 1854, nasce a Cherleville Jean-Nicolas Arthur Rimbaud. Arthur è il secondo dei quattro figli nati da Marie Vitalie Cuif e il capitano di fanteria, Frédéric Rimbaud.


Mentre Vitalie Cuif è figlia di piccoli proprietari terrieri delle Ardenne francesi; Frédéric è capitano del 47° reggimento di fanteria. Un padre sempre assente e lontano per lavoro; una madre che continua il mestiere di commerciante e si occupa dell’educazione dei figli. Isabelle è l’ultima figlia nata. Al suo arrivo, nel 1860, il capitano Frédéric, abbandona la famiglia per un viaggio più lungo del solito, diretto a Cambrai: e da allora, non farà mai ritorno.


Solo un anno dopo, i sogni di Arthur sono già molto precisi, e con l’addio del padre, anche sua madre si è decisa: aiuterà il giovane figlio a diventare uno scrittore. Per lui, spenderà i risparmi – ma un po’ anche per sé, per alimentare il proprio ego, le sue fortune, e la considerazione presso gli altri. Così, Arthur e suo fratello Frédéric vengono iscritti alla scuola Rossat di Charleville.


Alla Rossat di Charleville non rimarrà a lungo; nel 1868, trasferito al Collège Municipal, proseguirà gli studi fino all’ultimo anno di liceo, nel 1870. Per la prima comunione del Principe imperiale, Rimbaud gli invia una lettera composta in esametri latini, per il quale verrà molto lodato.


Di Rimbaud pochissime sono le fotografie autentiche; mentre molte di più sono quelle che i collezionisti, gli approfittatori e i fanatici di tutto il mondo, dicono di possedere; nascoste chissà dove, pronte a confermare – o capovolgere in toto – le ipotesi sulla vita di un poeta stravagante. In tutte, però, c’è una cosa comune: il suo sguardo è sempre assente, la posa è quella di un bambino davanti alla camera per il solo senso del dovere (che in verità lo disgusta); sempre irrequieto, mai fermo; sempre spazientito, mai quieto: ogni fotografia di Rimbaud, o ritratto che lo immortali, alla fine non ne catturano la presenza, ma piuttosto l’assenza.

Da quell’anno fioccano le composizioni di Rimbaud; e il suo talento è confermato dalla vittoria del premio di poesia latina di Douai, grazie alla lirica Jugurtha. Come definirlo, allora, se non un prodigio? Basti pensare che quel Jugurtha venne composto da Rimbaud all’età di quindici anni.


La figura di un insegnante, Georges Izambard, sarà significativa per gli studi di Rimbaud.

Quando nel 1970, Izambard viene nominato insegnante di retorica al Collège, Rimbaud ne rimane ammaliato e totalmente sconvolto dal peso della sua influenza. Ma per il giovane Arthur, gli anni Settanta sono anni cruciali, poiché allora cominciano le fughe del poeta che saranno sempre più frequenti.

È il 29 agosto, Rimbaud ha soli sedici anni e viene arrestato dalla Polizia e condotto alla prigione di Mazas poiché accusato di vagabondaggio. Quel poeticciolo dagli occhi assenti, dallo sguardo sempre inquieto, l’impeto e il desiderio di andare oltre gli schemi, così ostile e insofferente alle regole, deve la propria libertà ancora una volta al professore Izambard, che garantisce per lui e lo fa scarcerare.


Dopo Parigi è la volta di Douai, poi di nuovo di Charleville, di Bruxelles, ancora di Charleville. Finché nel 1871, con l’occupazione della cittadina da parte dei tedeschi, Rimbaud scappa nuovamente in Francia, a Parigi, dove si dice che abbia preso parte alla Comune.

È sempre Izambard il fautore delle scelte letterarie, e delle curiosità di Rimbaud: da lui proviene l’amore per Hugo (e il superamento della sua poetica del poeta vate) per i romantici e i parnassiani in generale. E proprio in quegli anni la produzione di Rimbaud subisce una notevole impennata. Le strenne degli orfani, Ofelia, Credo in unam, Sensazione.


Negli anni tra i sedici e vent’anni, Rimbaud sente sempre più la morsa di quella piccola cittadina della Francia.


In qualche modo, la poesia diventa uno dei tanti modi attraverso cui sfuggire alla insoddisfacente realtà. Verlaine ha appena pubblicato Le feste galanti, libello provocatorio e maledetto, e Rimbaud invita Izambard a scoprirlo. Oltre alla poesia, altro diletto per lo spirito acceso del piccolo Arthur, sono le lunghissime camminate a piedi – ogni tanto a cavallo – che impiegano giorni e giorni per raggiungere le sue mete. Per esempio, celebre è quella che lo condusse fino al Journal de Charleroi, la cui collaborazione gli sarà preclusa per la stravaganza e la straordinarietà dei suoi discorsi.


Da quella tanto discussa presenza alla Comune nel 1870, Rimbaud torna a Parigi anche nei mesi successivi, per incontrare il grande poeta maledetto con cui darà inizio a lunga, tormentata ed esagerata relazione omosessuale: Paul Verlaine. Ospitato a casa sua, e poi in quella dei suoceri, Rimbaud soggiorna nelle abitazioni dei maggiori poeti del tempo: da Charles Cross al disegnatore André Gill.


Grazie a Verlaine, Rimbaud, a soli diciott’anni, è introdotto nei maggiori circoli artistici e letterari del Quartiere latino. Tra letture stravaganti, eccessi sempre più vividi, alcol, droghe e pettegolezzi, Verlaine e Rimbaud cominciano una vita bohémienne. Verlaine si allontana definitivamente dalla moglie, con la quale il rapporto è costellato da litigi e minato dall’ostile presenza di quel Rimbaud; così, mentre sono in viaggio a Bruxelles, Verlaine abbandona la moglie e la madre sul treno, e fugge dal giovanissimo amante.


Ma la loro storia d’ossessione è destinata a giungere a termine ben presto. Sia Verlaine che Rimbaud hanno due personalità troppo ingombranti, i litigi son frequenti e portano a una rottura.


Proprio a Londra, Verlaine si ammala; chiede aiuto alla propria madre, e sarà lei a inviare a Rimbaud il denaro per raggiungere Londra, ma a quel punto la rottura sembra definitiva. A causa dell’ennesimo litigio sorto tra i due poeti, Verlaine lo abbandona a Londra, e cerca di riavvicinarsi alla moglie.

Non deve sorprenderci che la relazione tormentata tra i due proceda per numerosi anni: è come se sia Rimbaud che Verlaine siano ossessionati dall’altro. Insieme visitano decine di alberghi, luoghi, città, salotti letterari; realizzano le più inimmaginabili perversioni sessuali, orge e giochi erotici che contribuiscono ad accrescere la loro fama di poeti maledetti. Ma è proprio allora che la fine di questa turbolenta relazione si consuma: ubriaco e terrorizzato dall’abbandono di Rimbaud, Verlaine compra una rivoltella e ferisce Arthur all’avambraccio, e il giovanotto va su tutte le furie.


All’età di ventidue anni, per Arthur Rimbaud la poesia appartiene al passato.


Il poeta prodigio, il bambino che all’età di vent’anni aveva già vinto numerosi premi letterari, abbandona la carta per farci ritorno pochissime volte in seguito. Improvvisamente rinnega tutto ciò che ha fatto e scritto, si rimangia ogni cosa, e dichiara di aver chiuso per sempre con la poesia. Abbina i versi dei poeti alle bestemmie, alla parola «merda, merda!» urlata, strillata di mezzo ai denti. Non è altro che una delusione, o ancora una volta il poeta decide di ribellarsi a tutto ciò che gli è stato prescritto?

In questi anni si concentrano molti altri viaggi compiuti da Rimbaud. Brema, Stoccolma, Norvegia, Copenaghen, Marsiglia, Roma. Celebre è un’altra delle sue camminate, la traversata del San Gotardo a piedi per raggiungere Lugano, poi Milano, e infine Genova.

Nel 1872 un altro fatto è di primaria importanza: la morte del capitano, il padre lontano, mai conosciuto, mai amato fino in fondo. L’altra faccia della medaglia: se la madre è austera e severa, pretenziosa e moralista; il padre non c’è mai stato. E nelle loro mancanze paterne e sovrabbondanze materne, per alcuni appare chiaro il fulcro del suo dolore; la scaturigine della follia e dell’estro.

Fino 1884, poi, dà prova di aver veramente deciso: tra Alessandria e Cipro, Rimbaud dirige gli operai di una cava di pietra. I suoi modi sembrano bruschi, violenti, tanto che la sua fuga dalla città sembra dettata dalla morte di un operaio colpito a morte da una pietra in circostanze misteriose. Ma anche questi non sono che racconti, miti e leggende che si sono alimentate attorno a Rimbaud, oppure no.


Nel frattempo è raggiunto dalla malattia. Ammalatosi di tifo, Arthur è costretto spesso a far ritorno a Roche, nella fattoria di famiglia dove nessuno sa del suo rientro.


Comincia a trafficare armi; da molti vengono narrate storie che lo vedono ora mercante di schiavi, ora in cerca di schiavi per il suo servizio personale. Sul basamento di un tempio di Luxor compare chiara (ma enigmatica più che mai) la testimonianza di un suo passaggio: la firma di Rimbaud, incisa sulla pietra, sarà destinata a diventare parte di quell’antica civiltà.

Ormai non gli restano molti anni da vivere. Il tifo consuma sempre più la vita sregolata di quel poeta: l’alcol, le droghe, le orge, non possono che aver creato terreno fertile per una salute cagionevole. Tuttavia, nel 1890, gli giungono le lettere di certe letterati parigini, che intendono informarlo del successo spropositato che egli si sta conquistando a sua insaputa. Egli sta per diventare il poeta più famoso della Poesia, e ancora ne è totalmente ignaro.

Saranno i dolori al ginocchio ad avvicinarlo fisicamente alla morte. Sopraggiunto da un violento cancro, i problemi alle articolazioni si fanno sempre più aggressivi, e la pazienza di Rimbaud è ridotta all’osso. Finché le allucinazioni non lo raggiungono, i deliri diventano più frequenti, e il 10 novembre del 1891, sorretto solo dalla presenza e le attenzioni della sorella, Arthur Rimbaud passa a miglior vita.


Ma perché il genio di Rimbaud si è imposto così duramente nella letteratura poetica? Che cosa ha fatto sì che il ricordo di quel poeta maledetto si addolcisse a favore della sua grande vocazione?


Forse l’enigma e i misteri attorno all’immagine del poeta hanno contribuito ad accrescere la fama di Rimbaud. Il fatto che attorno a lui tutto sia certo e al contempo sbiadito, non può che aver incuriosito i letterati dei tempi a lui successivi. I suoi modi di fare, la sua irrequietezza, la capacità propria di Rimbaud di dissacrare tutti i valori: sbeffeggiò la religione, i preti; indignò la borghesia e tutto il paese nativo; attaccò frequentemente lo Stato e ogni tipo di autorità a esso collegata.


Con voce ferma e un linguaggio poetico sfrontato, indelicato, Rimbaud non è stato solo il cantore della trasgressione; ha scritto d’amore, di passioni, di amicizia; ha cercato dunque, tramite l’onestà, di perpetrare tra le trame dell’esistenza, senza mai risparmiarsi laddove nessuno in vita, aveva avuto il pudore di arrestarsi.


Rimbaud ha pienamente trasformato il linguaggio della poesia, dando vita a qualcosa che prima d’allora non s’era mai visto. È lui a introdurre la figura del cosiddetto poeta veggente, il poeta che, tramite la sregolatezza in tutto ciò che lo riguarda, è in grado di vedere il futuro. Sono le sostanze allucinogene, le droghe e i fumi dell’alcol a permettere al poeta di vedere oltre: di ammirare ciò che gli altri hanno precluso all’esperienza. La poesia, dunque, non serve più a ispirare; ma piuttosto a prefigurare il futuro.


E se il poeta oggi gode di un immenso riconoscimento, anche in vita, appena qualche anno prima della sua scomparsa, vengono innalzati i primi monumenti al Rimbaud.


Rimbaud è già amato prima ancora di morire; i Rimbaud di tutto il mondo si riuniscono in convegni e fanno a gara a ipotizzare tra loro e lui fortuite parentele; le testimonianze di poesie non conosciute abbondano; Isabelle è quella che con maggiore interesse tenta di raccontare, smentire e affermare le verità e le bugie sul conto del fratello; sua madre lo loda più per l’esperienza africana che per quella vena poetica esordita con precocità ed esauritasi altrettanto rapidamente.


Ma alla fine, l’approvazione verso Rimbaud è pressoché unanime. Arthur Rimbaud è un poeta rivoluzionario; un bambino prodigio che ha composto le proprie opere nel giro di quattro anni, e che appena trascorsa l’adolescenza ha abbandonato del tutto quei canti, quelle liriche aggressive, quei versi che gli diedero la fama. Arthur Rimbaud è uno dei Felici Pochi (F.P.) della canzone di Elsa Morante, racchiusa nel Mondo salvato dai ragazzini; quei poeti, ovvero, gli idealisti, i sognatori, i rivoluzionari, quelli che hanno il coraggio di vivere e che rimarranno sempre bambini.


Abbracciò il simbolismo, il decadentismo, il surrealismo; scrisse poesie in versi e poesie in prosa; contemplò la musica, frequentò i pittori (celebri sono i suoi ritratti compiuti da Carjat). Insomma, Rimbaud è stato uno degli artisti più completi dei tempi scorsi, più eccentrici, istrionici e stralunati; ma per conoscerlo, per capirlo e tentare almeno un poco di comprenderlo, l’unica cosa da fare è leggere ciò che ha scritto – dimenticandosi per un momento, la sua età anagrafica. Per capire davvero, quale fosse il genio nascosto dietro un bambino destinato a cambiare le sorti della poesia.

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