– Qual è la sua moralità? – Sconosciuta Verbale n°746, bollettino di informazioni dalle carte sequestrate a Verlaine, 1873
È il 1873 quando il poeta maledetto Paul Verlaine viene accusato di aver ferito con un’arma da fuoco il polso del soggetto Arthur Rimbaud. L’accusato è nato a Metz il 30 marzo 1844; perciò, al momento delle sopraccitate dichiarazioni, Verlaine ha ventinove anni. Il ferito invece, la vittima che nessuno riesce ad accettare come tale, ha diciannove anni.
Il signor Arthur Rimbaud, letterato nato a Charleville [Francia] il 20 ottobre 1854, chiamato a testimoniare contro l’accusato, dichiara:
Da un anno abito a Londra con il signor Verlaine; […] questa convivenza era diventata impossibile, e avevo espresso il desiderio di ritornare a Parigi; quattro giorni fa mi ha lasciato per venire a Bruxelles, e mi ha mandato un telegramma affinché lo raggiungessi; sono arrivato dopo due giorni e sono andato ad alloggiare con lui e con sua madre, in Rue des Brasseurs 1; sempre manifestando il desiderio di rientrare a Parigi; […] poi ha caricato la pistola e ha tirato due colpi dicendo: Prendi! Ti insegnerò a voler partire! Questi colpi sono stati sparati da tre metri di distanza; il primo mi ha preso. […] Dal processo verbale n°746, 10 luglio 1873
Le dichiarazioni degli interrogati e di quelli chiamati in causa sembrano non porre alcun dubbio sulla vicenda. Inoltre, l’aggravante è che da circa due anni, la moglie di Verlaine, Mathilde Mauté ha avviato le pratiche di separazione dal marito. E l’oggetto di quelle pratiche, la più manifesta delle prove, è una relazione d’amore che incorre tra Paul Verlaine, e il giovanissimo Arthur Rimbaud.
Una sconosciuta moralità (Quando Verlaine sparò a Rimbaud) (Bompiani 2013) è un’opera che scandaglia e analizza tutte le prove e le circostanze in cui prese luogo il cosiddetto affaire de Bruxelles, il processo che condusse davanti al giudice due tra i poeti più sensazionali dell’Ottocento. Ma l’insinuazione di quella relazione proibita suscitò per entrambi serie ripercussioni e indignazione generale. Giuseppe Marcenaro, l’autore di questo dossier-saggio, ricostruisce con documenti certosini (alla pubblicazione ancora inediti in Italia), testimonianze, e contributi, uno dei maggiori scandali di quel tempo. Ma quel processo, più che per la sua particolarità e per la stravaganza dei modi dei due imputati, diventa degno di nota perché riassume e racconta l’amore incorso tra due poeti che – convinti di dover provare a conoscere il mondo attraverso la sregolatezza, l’ebrezza e le trasgressioni – hanno dato alla poesia una nuova voce.
Il testo-saggio di Giuseppe Marcenaro si divide agilmente in due parti: la prima, sotto forma di romanzo racconta l’incontro dei due amanti fino al momento fatale della rottura. La seconda è un accurato dossier che raccoglie i documenti e gli atti del processo.
L’esordio fulminante è presso l’Hotel à la Ville de Courtrai, in rue de Brasseurs 1, quando nei pressi della Grand Place a Bruxelles, alle ore 14:30 del 10 luglio 1873, in una camera al primo piano nessuno sente i due colpi di pistola che Verlaine spara all’amante in fuga, Arthur Rimbaud. Lo sparatore è ubriaco fradicio – e come dichiarerà successivamente – il colpo è sparato per una crisi nervosa e per le condizioni alterate in cui il poeta si trova.
Ma da quel momento, da quei due colpi – dei quali solo un proiettile verrà rinvenuto – Marcenaro compie un salto indietro e riporta i due amanti alla vigilia del loro incontro.
Sia Verlaine che Rimbaud crescono sotto la morbosità e le stranezze di due madri particolari. Ma mentre Verlaine viene su a suon di carezze, sempre servito per primo a tavola, e con i batuffoli di ovatta nelle orecchie contro il freddo; Rimbaud viene allevato con il rigore e secondo precetti altamente moraleggianti. Ed è proprio quel mondo imborghesito, quella società fondata sulla menzogna e sulle apparenze che mette in fuga il giovane Rimbaud, spingendolo tra le braccia del poeta – e rendendo l’antiborghesità il filo conduttore di quasi tutta la sua opera.
Fu Rimbaud ad andare in cerca di Verlaine; ma il loro incontro lo si deve soprattutto alla figura dell’insegnante di retorica dell’enfant prodige di Charleville.
Grazie a George Izambard, Rimbaud fece la conoscenza delle composizioni di Verlaine e del suo estro. Per questa ragione decise di scrivergli e di mandargli in visione le proprie poesie, pregandolo di riceverlo come ospite. La risposta che ricevette fu precisa: «Venite subito, grande anima».
Così, senza bagagli e con un solo cambio di vestiti cucito da sua madre, il prodigo di Charleville raggiunse Parigi. Verlaine ne rimase immediatamente folgorato: forse dai suoi occhi glaciali, forse pure da quella strana timidezza di cui Arthur fece sfoggio la sera dell’arrivo. Tuttavia, quella pacatezza si sarebbe presto rivelata un inganno; Rimbaud era arrivato a Parigi per portare scompiglio e non si allontanò per niente dalle sue intenzioni.
Lo stupore fu reciproco. Anche Rimbaud si stupì nello scoprire Verlaine, il “vero poeta”, secondo il proprio immaginario, negli agi borghesi, in un’atmosfera dolciastra, succube della suocera e della moglie incinta. Marcenaro R., Una sconosciuta moralità, Bompiani, Milano 2013.
L’incontro tra i due poeti non può essere definito in altro modo che fatale. Forse, Rimbaud cerca in Verlaine qualcosa in grado di sconvolgerlo; e probabilmente, anche Verlaine cerca in Rimbaud un modo per evadere dalla sua infelice esistenza.
Sposatosi solo per compiacere le volontà di sua madre, il matrimonio con Mathilde Mauté è un sovversivo per conquistare un poco di dignità. Né l’uno, né l’altra, in realtà, sono attratti dal rispettivo amante; si incontrarono a sedici anni, e faticarono per riuscire a mettere al mondo un figlio.
Quell’arrivo di Rimbaud a Parigi, il giovanissimo è subito prostrato al decreto dei colleghi poeti. Al Vilains-Bonshommes, un cenacolo di letterati di belle speranze, Rimbaud fu ammesso il 30 settembre del 1871. Da quel giorno, Rimbaud non fu più solo; Verlaine lo accompagnava ovunque potesse; trascorrevano insieme i giorni e le notti, per far ritorno a casa di lui solo a notte inoltrata, ebbri d’assenzio. Proprio durante quella prima cena venne realizzato un celebre dipinto che ritrae otto poeti seduti attorno a un tavolo; bevono, leggono, fumano la pipa e colloquiano, mentre in prima fila compaiono Verlaine e Rimbaud.
Perso anche l’impiego alla municipalità di Parigi di Verlaine, «esistevano soltanto loro, uno per l’altro».
Il loro impegno concretamente è tutto rivolto verso la poesia. Una poesia che non rappresenta assolutamente il sovversivo per potersi concedere lussi e sregolatezze; ma al contrario, il punto d’arrivo di quelle proibite trasgressioni. Ciò di cui vivono, essenzialmente, sono i soldi delle loro madri – e per un po’ anche quelli della famiglia Mauté.
Per i due poeti francesi, la poesia è veramente qualcosa attraverso cui poter comprendere il mondo; pronta a trasformarsi in una lente tramite cui esplorarlo da tutte le angolazioni. Non a caso, nella composizione poetica è l’assenzio a guidare entrambi; una bevanda alcolica e allucinogena ancora oggi proibita in molti paesi del mondo.
In quel mondo fatto di eccessi, anche il linguaggio non può che esserne un valido rappresentante. È la lingua l’arma più affilata, ciò che veramente può intimorire Verlaine o Rimbaud; contro l’indifferenza invece, verso tutti quei giochi violenti che i due compivano abitualmente. E sulla particolarità del linguaggio insistono tutti i poeti maledetti, tanto che nell’ottobre del 1871, i fratelli Cross, dopo la Commune, fondano il Circle Zutique – zut! è un’imprecazione che significa accidenti!.
In una sala dell’Hotel des Etrangers, la vie de bohème trova il suo massimo splendore. Lì si incontrano «gaudenti, spaccalinguaggio e sboccati, scrittori e artisti, con sempre merde in bocca, nelle più ricercate e declinate variazioni». A tutte le ore del giorno gli amici maledetti bevono assenzio e rum, fumano, strimpellano, recitano versi provocatori e dormono sui canapè. Tra di loro affiora un catalogo di nomi di personaggi illusi di imprimersi nella memoria collettiva, ma di cui il mondo avrà ricordo per il solo fatto di aver affollato le medesime sale di due poeti che la storia l’hanno fatta per davvero.
Come inizi la relazione clandestina tra i due amanti omosessuali questo non si sa. Si può supporre che la passione infiammi dal primo momento in cui i due si incontrano.
Insieme sono d’ispirazione l’uno all’altro; Rimbaud condiziona profondamente Verlaine, tanto da spingerlo ad abbandonare l’endecasillabo; ma anche Verlaine influenza Rimbaud, poiché senza di lui, da quel momento il prodigio di Charleville non può andare avanti. Arrivano persino a comporre una poesia insieme, in cui omaggiano l’ano (sì, proprio lui) .
La loro relazione è costellata da partenze e ritorni continui; decisioni avventate, liti aggressive, giochi inspiegabili – come per esempio quello con cui, rivestiti dei coltellacci con degli asciugamani, i due giocavano a colpirsi finché non vedevano il sangue. Le liti sono frequenti anche nei rapporti con il mondo circostante: in particolare è Rimbaud il violento, il mal sopportato, l’irrequieto; molti lo disprezzano, e lo stesso Carjat, illustre ritrattista che avrà l’onore di immortalare Rimbaud, sarà ferito dal giovane iracondo.
Di quella combriccola, Rimbaud è l’enfant gâté, il bambino viziato, il piccolo di casa. Ha solo diciassette anni, ma per Lepelletier, Rimbaud era il «grande artigiano delle disgrazie di un Verlaine stregato, sedotto e dominato». Se la presenza di Verlaine fu utile a Rimbaud per portare la propria poesia a un livello superiore; Rimbaud fu colpevole di trascinare Verlaine in una vita che egli da sempre bramava di vivere – mentre aspettava qualcuno con cui condividerla.
Come da quell’incontro si arrivi dunque a un processo è facile capirlo senza aver letto una pagina di Rimbaud o di Verlaine.
Un amore ossessionato, morboso e incompreso; che si nutre di eccessi e pratiche assolute. Un amore che procede in lunghe trasferte e viaggi in giro per l’Europa; un amore che va molto oltre i propri limiti. Perché appunto, come la poesia, il compito dell’amore è quello di superarli, i limiti. E se all’alba del 7 luglio 1872, Paul Verlaine esce di casa per comperare una tisana alla moglie, incontrato Rimbaud per strada non fa più ritorno e parte con lui per il Belgio.
Di questi e simili altri colpi di scena è abitata la loro relazione. Di indecisioni e incertezze; ricatti ai quali i due si devono sottoporre per riuscire ad andare avanti in quella società castrante. Una società che chiede loro di rinunciare alla loro identità, al loro vero essere più profondo. La presunta partecipazione alla Commune di Parigi, oppure ancora quell’altra volta che chiamate la moglie e la suocera per far ritorno a casa con loro, Verlaine alla fine le abbandona sul treno e raggiunge l’amante.
Oltre quei brevi capitoli che raccontano la gestazione della tormentata storia d’amore, Marcenaro completa l’opera con un dossier di documenti, carte processuali, interrogatori e testimonianze.
E anche quelle testimonianze, quelle dichiarazioni lanciate come fulmini sull’uditorio, divengono delle vere e proprie dichiarazioni d’amore. Perché finita la storia, accusato Verlaine, incarcerato per due anni, la loro amicizia non si arresta. I due non si vedranno più, probabilmente, ma non perderanno il desiderio di scriversi, di intersecarsi seppure allontanati dalle circostanze. Rimbaud, tuttavia, partirà definitivamente lontano dall’Europa, e cambierà vita: abbandonata del tutto la poesia, di lui saranno raccontate (o inventate) le leggende più assurde: ora schiavista, ora mercante di armi e dedito al mercato nero.
A nulla servono le accuse di Rimbaud, o le condanne dei suoceri Mauté, quell’amore maledetto era destinato a durare oltre le intemperie e a spingersi, nel suo ricordo magnifico, fino ai giorni nostri.