Adria ha appena vent'anni: occhi azzurri, volto angelico, postura elegante, indossa vestiti sartoriali realizzati su misura per lei. Negli anni Venti del Novecento non è passata da Roma una sola persona che non si sia fermata almeno per un momento ad ammirare Adria, e anche chi è incappato nella sfortuna di non poterla incontrare, da qualche parte ne avrà sentito parlare – e non stupirebbe nessuno, certamente non i lettori di «Vita e morte di Adria e dei suoi figli», se dopo aver sentito pronunciare il nome di Adria qualcuno avesse deciso di non ritornare più nel posto da dove era partito, e di rimanere per sempre a Roma, nella speranza di fare la sua conoscenza.
Poiché tutta Roma, tutta la città e tutti i suoi abitanti, i frequentatori dei teatri e di salotti in palazzi vertiginosi, non aspettano altro che la prossima occasione mondana in cui veder trionfare la giovane e bellissima Adria.
Il tempo che precede gli arrivi di Adria trabocca di ansia e aspettative: nessuno sa come sarà vestita, quale abito avrà commissionato alla propria sarta con la massima segretezza, il tipo di stoffa che sfoggerà sotto lo sguardo curioso degli invitati. Il tempo che segue il suo arrivo, invece, si riempie di bellezza, tanto che ai presenti diventa difficile fare qualsiasi altra cosa che non sia guardarla, provare a scambiare due parole con lei, a scoprirla oltre il suo fascino.
Quando compie vent'anni, Adria comprende di poter trasformare il proprio dono in qualcosa di più ampio, da cui tutti possano trarre beneficio. Ha votato la sua intera esistenza ad alimentare (e poi soddisfare) le aspettative altrui, erigendosi a sembianze inviolabili, sacre, come la statua in un museo su cui il visitatore vorrebbe poggiare la mani. Tutte le sere, appena prima di addormentarsi, Adria guarda il proprio riflesso su uno specchio col manico d'argento.
Neanche ai suoi figli, la piccola Tullia e il maggiore Remo, è data occasione di avvicinarsi a lei oltre il tempo stabilito: quell'oretta del giovedì che hanno l'onore di dividere con lei, come il tempo che viene concesso ai devoti quando arrivano davanti alla fonte dei miracoli, dopo esser partiti dall'altra parte del globo e aver camminato per ore e ore, prima che lascino avvicinare l'ammiratore successivo.
Se a qualcuno venisse in mente di tentare di andare oltre ciò che vede, resterebbe deluso di scoprire che Adria è solo bellezza.
Adria ha rinunciato a tutto e a tutti pur dir soddisfare le aspettative altrui: ai figli, costretti a guardarla tramite le fessure della porta della sala da pranzo, al marito senza nome che, forse conscio della fortuna che gli è capitata, risponde alle sue volontà con orgoglio e dedizione assoluta. Neanche teme che possano avvicinarsi troppo a lei, conquistarla in qualche modo, sfoderando le proprie migliori carte, poiché Adria ha rinunciato a tutto per non oltraggiare il tempio della propria bellezza – si è negata ai moti d'animo, alle passioni, ai contatti fisici – e non ha alcuna ambizione di destinare interesse a chi, per indole e naturalmente, rimane stregato dalla sua compiutezza.
D'altro canto, gli adulatori non possono che far parte del gioco: Guarniero, per esempio, che la ama da cinque lunghi anni, lui per primo non si sognerebbe mai di ambire ad altro che riempirsi gli occhi innanzi alla meraviglia e alla luce che esala da Adria.
Adria potrebbe tutto: le basta esprimere un desiderio che, talvolta anche prima che si pronunci, ogni sua aspirazione è soddisfatta. Apparentemente non le manca nulla: attorno a lei c'è un entourage di cameriere e assistenti, parrucchieri e sarte che si affannano per mantenere quella perfezione intramontabile – senza tuttavia provare fatica, così orgogliosi di essere chiamati a ricoprire i loro incarichi, di far parte di una recita per cui tutta Roma scalpita di assistervi.
Eppure, a svantaggio della sua perfezione c'è qualcosa che non può controllare, qualcosa di cui non può disporre come vorrebbe: il tempo.
Quando Adria si rende conto di essere ormai prossima ai trent'anni le affiora alla mente una soluzione per impedire al tempo di scorrere: ritirarsi dalla fascinazione collettiva, preparare i bagagli e, senza possibilità di replica, trascorrere i giorni rinchiusa nelle stanze oscurate di una residenza parigina, come una monaca di clausura ma fedele solo al dio che dimora dentro di sé.
A quelle stanze, cascasse il mondo – crollasse persino il palazzo! –, nessuno avrà accesso e da esse nessuno avrà libera uscita. Nessuna priorità potrà reputarsi tale davanti alla sua decisione. A nessuno sarà più concesso di vederla, perché Adria, seppur giovane e ancora lontana dagli effetti prodotti dal logorio del tempo, non vuole rischiare che arrivi il momento – e che venga superato – in cui assisterà a quel naturale ma evidente sfiorire della sua bellezza perfetta. Pertanto Adria abbandona il marito, abbraccia i figli prima di partire, si concede un raro moto d'animo e nel concederselo si rende conto di quanto non compromettendosi all'emozioni sia riuscita a lasciare immacolata la sua aurea.
Come il titolo del romanzo chiaramente anticipa, «Vita e morte di Adria e dei suoi figli» non racconta solo la vita di Adria, ma anche quel suo lento processo verso l'estinzione di sé.
Mentre è intenta a far scomparire dal mondo la sua immagine, mentre conversa al telefono con sconosciuti, si scambia lettere tiepide con il marito, e l'unica persona che può vederla è la sua fidata cameriera Albertina, finanche lontano da lei è come se la vita si fosse fermata.
Tullia è rimasta a Parigi con il padre; Remo se n'è andato in Germania per studiare pianoforte, ma fin dal giorno in cui Adria è partita per Parigi è come se ognuno di loro abbia perso il perno della propria esistenza. Niente ha più senso: anche villa Adria, l'unico posto in cui hanno vissuto dacché son nati, diventa un altro luogo: vuoto, sperduto, ormai spogliato della luce di cui Adria empiva le stanze con il suo solo abitarle. E nella nostalgia di lei tutti si consumano mentre cercano pretesti per rendere le loro vite più piene, più distratte, dimenticandosi forse che ciò che invero hanno sempre amato di Adria, ciò che gli ha permesso di divinarla fino in fondo: più che la presenza è la sua assenza. Il desiderio di poterla raggiungere, di potervi trascorrere del tempo insieme, di poter godere della sua luminosa apparenza. Per questo, senza il concetto di tempo, privata delle aspettative che la precedono, la bellezza di Adria non esisterebbe.
Ma il tempo, ecco, bestiale tempo!, come la alimenta la spegne. Ecco perché abbiamo dovuto inventarcelo, istituire dei punti di riferimento per poterlo quantificare, poiché talvolta avverso e altre favorevole, non esiste ambizione o possibilità che non debba farci i conti e che davanti a esso non cambi il suo significato. Pensate al dolore, alla felicità, alle aspettative che riponiamo nel futuro, al futuro stesso: non è sempre il tempo a significarli?